Nella vita siamo chiamati a schierarci sin dalla prima infanzia. Vuoi più bene al papà o alla mamma? Uomo Ragno o Superman? Milan o Juventus? Lugano o Ambrì Piotta? Tutto ciò molto prima che si riesca a percepire il senso dell’esistenza, con tutti i suoi bivi fondamentali: studio o lavoro, matrimonio o convivenza, religiosità o ateismo, destra o sinistra. In Ticino il più delle volte ci troviamo di fronte al Bivio per antonomasia, quello che ti fa vibrare, sognare, cantare, esultare, soffrire, piangere: Ambrì o Lugano?
Scusate, per par condicio propongo anche l’altra variante: Lugano o Ambrì Piotta. Dal colore dell’interlocutore, bianconero o biancoblu, si capisce se ci troviamo di fronte ad una brava persona o ad un losco figuro, che dico, ad un nemico. Le cronache di fine 800 narrano di randellate tra Liberali e Conservatori, di famiglie che non si parlavano in virtù degli opposti orientamenti politici, di matrimoni misti che non potevano neppure essere immaginati. Oggi, in politica, le bastonate hanno traslocato sui social media, trasformate in tweet e post. Fanno meno male dal punto di vista fisico, ma hanno una forza deflagrante che può provocare una sofferenza maggiore. Anche lo sport non disdegna la parola scritta, tuttavia ha saputo mantenere un sano rapporto diretto tra gli interlocutori. Da noi, essere bianconero o biancoblu pare essere una condizione imprescindibile.
Quando si incontra una nuova persona, prima ancora di chiederle che lavoro fa, se è sposato, se ha figli, le si chiede la fede hockeistica. Nessuno si sognerebbe di picchiare a sangue un individuo perché è insegnante, ferroviere, scalpellino o impiegato. E neppure gli metterebbe addosso le mani in virtù della sua condizione di coniugato, fidanzato, single o vedovo. Per il semplice abbinamento di colori invece sì! Se sei «Piotto» o «Corvo», ti potrebbe tranquillamente arrivare una legnata tra capo e collo, così, senza un motivo, o, per lo meno, io faccio fatica ad individuarne. Il tifo, ben inteso, non mi scandalizza: è gioia, passione, emozione, condivisione di uno spettacolo, festa.
Riesco, entro certi limiti, persino a capire e a giustificare la violenza verbale, purché non offenda e umili la persona. Mi piace il vigore creativo, che fa rosicare, che ti porta a pensare: accidenti questa volta l’hanno pensata davvero bella!
Ricordo, alcuni anni fa, una dichiarazione di Roland Von Mentlen, allora allenatore dell’Ambri Piotta, il quale dopo un derby di play off perso dai suoi alla Valascia disse: «Cominceremo da domani a smontare il castello bianconero». Durante la partita successiva, la curva nord bianconera cantò per quasi 60’ «O che bel castello, marcondirondirondello». Trovo che sia stata la risposta più geniale che si potesse dare: non offendeva nessuno, ma feriva l’orgoglio della tifoseria avversaria. E che dire del crescendo rossiniano della curva sud biancoblu quando comincia ad intonare: «Che bello è, quando esco di casa, per andare alla pista...», oppure il «non mollare mai» recitato quasi come un mantra dalla Nord nel 2006, quando il Lugano ribaltò la serie dei quarti di finale e volò verso la conquista del titolo svizzero.
Concedetemelo: sono momenti da pelle d’oca a prescindere dal credo hockeistico che hai tatuato sulla pelle. Domani sera alla Resega, anzi, alla Cornèr Arena, torna il derby, il primo della nuova stagione. E il Ticino diventa Derbylandia, una sorta di paese delle meraviglie , con 2 squadre di National League, a sud e a nord del Monteceneri, capaci di creare un clima da far impallidire il Röstigraben. Ci fanno e ci faranno vibrare, cantare, discutere nei bar, ma purtroppo qualcuno si sentirà legittimato a compiere atti di cieca violenza.
Visto che la maggioranza delle tifoserie è sana perché non concludere invece la serata tutti insieme davanti a una birretta, rievocando i momenti più spettacolari del match e magari anche quelli controversi, come quel gol annullato all’Ambrì Piotta o quell’espulsione dubbia rifilata a Bertaggia quando il Lugano era in doppia superiorità numerica? In fondo si tratterebbe solo di relativizzare la portata dell’evento. Si tratta di un semplice partita di hockey su ghiaccio che, al di là della gioia del momento, non modificherà di una virgola la nostra esistenza. Se abbiamo problemi in casa o sul lavoro, non sarà una doppietta di Lapierre o di D’Agostini a risolverli.
Lasciamo che siano i giocatori a prendersi a spallate, e qualche volta, a cazzotti. Si dice che faccia parte del gioco, tant’è che alla fine si incrociano a centro pista per stringersi la mano e magari per abbracciarsi. Inoltre, date le esigue dimensioni del Ticino, non escludo che a volte i nostri eroi si incontrino anche per bere un bicchiere. Perché non provare ad imitarli, magari già da domani sera?