Aumentano i cittadini sotto-informati

L’Università di Zurigo ha pubblicato l’annuale studio dedicato alla qualità dei media in Svizzera
/ 16.12.2019
di Roberto Porta

Riuscire a convivere con la «piattaforma». Riassunta in due parole è questa la sfida più grande, e ardua, con cui il giornalismo si trova oggi a dover fare i conti, in Ticino, in Svizzera e un po’ ovunque nel mondo. Ce lo ricorda anche l’edizione del 2019 dello studio che ogni anno l’università di Zurigo pubblica sulla qualità dei media nel nostro Paese. Un’analisi di quasi duecento pagine, ormai giunta alla sua decima edizione, che mette in evidenza il ruolo sempre più ingombrante delle «piattaforme» digitali: Google, Facebook, Youtube e affini. È questa la concorrenza, impari per capacità di diffusione e forza finanziaria, che sta sempre più mettendo a dura prova gli strumenti di informazione che consideriamo classici: giornali, radio e televisioni. 

Basti dire che dal 2009 al 2019 la proporzione di persone che nel nostro Paese dice di informarsi attraverso i quotidiani cartacei è passata dal 56 al 32%. Pure l’informazione televisiva e quella radiofonica hanno subito dolorosi contraccolpi, anche se chi dice di informarsi attraverso questi canali supera ancora il 50% delle persone intervistate, con la radio – anzi le radio – a difendersi meglio di quanto non riesca a fare l’informazione televisiva. Va ricordato che il campione su cui si basano i ricercatori di Zurigo è formato da 3400 persone, intervistate attraverso un formulario online. Di segno diametralmente opposto invece i risultati ottenuti dalle fonti di informazione digitali, basti dire che nel 2019 il 70% delle persone interpellate diceva di informarsi spesso o molto spesso proprio attraverso i social media. Un dato che va comunque un po’ relativizzato, visto che solo il 10% afferma di utilizzare unicamente queste piattaforme per accedere all’informazione. Sta di fatto però che 7 cittadini su 10 fanno ormai riferimento costante a Google, Facebook e affini per seguire le notizie quotidiane, siano esse locali, nazionali o internazionali. E qui, stando allo studio dell’università di Zurigo emerge una nuova categoria di persone, già individuata in alcune delle recenti edizioni di questo studio. Si tratta della categoria definita con il termine di «News-Deprivierten», persone che dispongono di un’informazione carente e superficiale, con un consumo di notizie inferiore alla media. 

Nel corso degli ultimi 10 anni questo gruppo di persone è passato dal 21 al 36%, ciò significa che oggi un cittadino su tre è di fatto «sotto-informato» e soffre di una deprivazione in materia di informazione. Una proporzione che sale al 56% se si tiene conto soltanto dei giovani, tra i 16 e i 29 anni di età. Più di un ragazzo su due nel nostro Paese dispone pertanto di un grado di informazione considerato insufficiente, questo perché i suoi strumenti sono solo e unicamente quelli digitali. Con una fruizione che dipende molte volte dal semplice caso, dallo scorrere del contenuto di Facebook o di altri social media. Una fruizione rapida e superficiale di ciò che viene proposto, con un equivoco di fondo: non tutto quello che viene esposto e suggerito dalle piattaforme può essere considerato dell’informazione vera e propria, anzi molto spesso si tratta di pubblicazioni che nulla hanno a che vedere con una notizia, nel senso classico e genuino del termine. Non per nulla lo studio dell’università di Zurigo giunge alla conclusione che questa categoria di persone entra in contatto con notizie e articoli legati all’attualità in modo insufficiente. 

E qui si apre un capitolo molto delicato perché ha direttamente a che vedere con la qualità e la tenuta della nostra democrazia, come ci ricorda la stessa ricerca di Zurigo. «Saper usufruire dell’offerta di informazioni regionali e nazionali è necessario per poter esercitare i propri diritti democratici e per poter partecipare alla vita pubblica del Paese in cui si vive», si legge a questo proposito nello studio sui mass media svizzeri in merito ai «News-Deprivierten», la categoria di persone che in questo ambito ha conosciuto la crescita più marcata nel corso degli ultimi dieci anni. Va comunque detto che la Svizzera non rappresenta un’eccezione. Altri studi in materia affermano infatti che questo stesso problema è presente in tutte le democrazie occidentali, con una proporzione di «deprivati» di informazione che varia dal 15 al 41%. In altri termini le «piattaforme» sottraggono tempo e attenzione da dedicare alle forme di informazione classiche. Non va dimenticato però che, seppur in modo confuso e occasionale, anche il «deprivato» di notizie finisce a volte sulla pagine online di un quotidiano, di una radio o di una televisione. Può quindi fruire di questi canali e dei loro prodotti, seppure spesso in modo inconsapevole. La navigazione su internet di queste persone è dettata in modo prevalente non dall’informazione ma dalla ricerca di intrattenimento e dalla cura dei propri contatti online. Tutto questo in un contesto finanziario in cui le piattaforme online sottraggono costantemente risorse economiche a giornali, radio e televisioni svizzere. Basti dire che nel nostro Paese la cifra d’affari del mercato pubblicitario online si aggira attorno ai 2,1 miliardi, dato del 2018. Una somma complessiva che finisce in gran parte sui conti bancari di Google, che incassa dalle inserzioni pubblicitarie svizzere ben 1,4 miliardi, ciò che equivale al 67% dell’intero settore. In altri termini, nel silenzio quasi generalizzato, stiamo cedendo alle piattaforme con sede negli Stati Uniti una bella fetta del nostro mercato pubblicitario. 

Una perdita di risorse che sta mettendo a dura prova in particolare la stampa scritta e con essa l’insieme della categoria dei giornalisti. Non per nulla dal 2011 le testate elvetiche hanno tagliato il 20% del loro personale, una riduzione che ha portato alla perdita di ben 3400 posti di lavoro. Anche grazie all’intervento delle associazione di categoria, presto il Consiglio federale dovrebbe presentare un nuovo progetto di legge per dare un nuovo sostegno finanziario ai giornali svizzeri e ai loro siti online. Sempre che queste contromisure possano bastare a salvare le testate più in difficoltà, quelle che più di altre faticano ancora a trovare il modo di farsi valere – e leggere – nel grande e nuovo mondo delle «piattaforme» digitali.