«Carneade, chi era costui?» L’incipit dell’ottavo capitolo dei Promessi sposi, si sposa perfettamente col personaggio che desidero presentare. Tuttavia non sono Don Abbondio, e, per ragioni professionali sono tenuto a conoscere un giovane svizzero, considerato come una delle stelle nascenti dell’atletica mondiale, mentre per i più, Julien Wanders è effettivamente un Carneade, «uno sconosciuto».
Compirà 23 anni il prossimo 18 marzo. È ginevrino, ha nazionalità svizzera e francese ed è nato in una famiglia di musicisti. La mamma, Bénédicte Moreau, è violinista nell’Orchestra della Svizzera Romanda, il babbo, André, è violoncellista. Julien, invece, come strumento, usa il suo corpo, cuore, polmoni, gambe, piedi. Il suo palmares sportivo è da pelle d’oca, anche se buona parte degli appassionati ha sentito il suo nome per la prima volta il 9 dicembre dello scorso anno, quando è stato nominato Miglior Giovane Speranza dello sport svizzero, davanti al campione mondiale Under 23 di ciclismo, Marc Hirschi. Ero quasi certo che quest’ultimo avrebbe avuto la meglio, poiché la sua impresa iridata di Innsbruck mi pareva inarrivabile. Poi mi sono preso la briga di documentarmi sul giovane romando e ho capito che la lotta sarebbe stata apertissima.
Prima di quel giorno, Julien Wanders aveva polverizzato il record nazionale Under 23 della Mezza maratona, sottraendolo all’icona Viktor Röthlin, quindi aveva conquistato il primato europeo assoluto dei 10 km su strada, strappandolo al britannico Nick Rose.
Quest’anno, quasi a voler legittimare il titolo, il giovane maratoneta si è permesso di esagerare. L’8 febbraio, a Ras al-Khaima, ha firmato la miglior prestazione europea della mezza maratona. Tempo: 59 minuti, 13 secondi. Una follia. Ex primatista: Mohamed «Mo» Farah, il pluriolimpionico britannico. Un delirio. Julien è salito al quarto posto della graduatoria mondiale, primo dei non africani. Non completamente appagato, una settimana più tardi, a Monaco, ha demolito il primato mondiale dei 5 km su strada, correndoli in 13’29’’. In Svizzera su pista resiste ancora il 13’34’’ di Markus Ryffel.
Cifre da capogiro, che ci giungono da parte di un giovane atleta che rimescola le carte e ci mette in crisi, costringendoci a riflettere sui nostri pregiudizi culturali. Per un giornalista sportivo sono un fantasma in agguato, insidioso ancor più di quanto non lo siano gli stereotipi linguistici. Già poche righe sopra, evidenziando che Julien è il migliore dei non africani, sono scivolato su un luogo comune. Comprensibile, credo, poiché, se l’etiope Abebe Bikila aveva tracciato la strada negli anni Sessanta, vincendo, scalzo, le maratone olimpiche di Roma (1960) e Tokyo (1964), dagli anni Ottanta, con l’arrivo sulla scena atletica mondiale dei keniani, i mezzofondisti e i fondisti africani sono diventati padroni del mondo. Ne ho preso atto, senza disporre degli strumenti scientifici per disquisire sulla predisposizione o meno, di un’etnia o di un popolo, verso una determinata disciplina sportiva, anche perché credo che nel rapporto origini-risultati rientrino molti fattori, quali la cultura sportiva del paese in cui si è nati, la tradizione, la presenza o meno di un campione che possa fungere da modello trainante, il supporto della famiglia, i mezzi finanziari (pubblici e privati) a disposizione, il know how tecnologico, eccetera.
Sta di fatto che Julien Wanders è europeo, di carnagione chiara, eppure si sta intrufolando sempre più in un mondo che, negli ultimi tre decenni, sembrava un feudo africano. Il trucco c’è, e si vede. Dopo la maturità, il ragazzo si è caricato lo zaino sulle spalle ed è volato a Iten, in Kenya, a 2200 metri di altitudine. Da lì si è mosso solo per gareggiare. Vive lì, non da ricco colonizzatore, ha una fidanzata keniana, si allena come i keniani, si alimenta come loro, e fa scuola. Infatti, da alcuni mesi altri atleti europei, hanno preso in considerazione questa opzione. È una sorta di contromigrazione sportiva, all’insegna dello scambio di competenze.
Un rimescolamento di concezioni e di idee, che potrebbe suonare da monito e da sprone: «se trovi la chiave di lettura e ti impegni, anche se sei sudamericano, asiatico o africano, un giorno potresti vincere la discesa libera del Lauberhorn».