Non è semplice avere un buon rapporto con il proprio corpo. Siamo bombardati da modelli impossibili, da fisici plasmati da esercizio fisico intenso e interventi estetici e da immagini modificate con applicazioni di fotoritocco. Che nasca da sensazioni interne, oppure da come ci si vede allo specchio, l’immagine corporea è spesso causa di dolori e sofferenze. Stare bene con se stessi e con il proprio corpo (Franco Angeli, 2019) di Emily K. Sandoz, docente di Psicologia all’Università della Louisiana, e Troy Dufrene, scrittore specializzato in psicologia, suggerisce che non è necessario cambiare per sentirsi meglio. Occorre focalizzarsi sui modi per non lasciare che sensazioni, pensieri ed emozioni negative interferiscano su ciò che è importante. Il libro si basa sull’Acceptance and Commitment Therapy, chiamata anche ACT – si pronuncia come singola parola, non come lettere separate – una nuova forma di psicoterapia che fa parte della terza generazione della terapia cognitivo comportamentale. Stare bene con se stessi e con il proprio corpo è un manuale curato, per l’edizione italiana, da Elena Campanini, psicoterapeuta e docente all’Accademia di scienze comportamentali e cognitive (Ascco).
Dottoressa Elena Campanini, ci descrive l’Acceptance and Commitment Therapy?
È una terapia basata sulla Relational Frame Theory (RFT), un programma di ricerca di base sulle modalità di funzionamento della mente umana. Questo approccio suggerisce che molti strumenti che utilizziamo per risolvere i problemi, ci conducono in una trappola che crea sofferenza.
L’Acceptance and Commitment Therapy è innovativa e diversa rispetto alle altre terapie perché non è stata sviluppata per curare disturbi specifici. Considera la sofferenza psicologica come normale e presente in ogni persona. Cerca di condurre a un fondamentale cambiamento di prospettiva nel modo in cui si considera la propria esperienza personale, con lo scopo di portarci a vivere una vita di valore.
Che tipo di distorsioni dell’immagine corporea esistono?
Quando si parla di disturbo dell’immagine corporea si fa riferimento ad aspetti diversi. C’è l’angoscia per l’immagine corporea, cioè l’esperienza emotivamente sconvolgente del proprio corpo, il sentirsi sopraffatti dalla tristezza, dal nervosismo, dal disgusto o dalla vergogna rispetto alla propria fisicità. Si parla, invece, di distorsione dell’immagine corporea quando si vede il proprio corpo o parti di esso in modo diverso da come lo vedono gli altri. Definiamo insoddisfazione per l’immagine corporea la distinzione tra ciò che si considera perfetto e ciò che si vede nello specchio. L’evitamento dell’immagine corporea riguarda l’incapacità di prendere visione di alcune parti di sé davanti allo specchio. Infine, l’investimento sull’immagine corporea è la condizione che porta a pensieri sulla salute, sulle relazioni, sul successo.
Perché è importante intervenire anche se non ci si trova di fronte a un disturbo psicologico grave o comunque clinico?
Non essere soddisfatti del proprio aspetto fisico non solo può portare ad un alto rischio di ansia, depressione, disturbi del comportamento alimentare, ma costituire un intralcio alla vita, fino a condurre a problemi finanziari dovuti alle troppe spese per inseguire un ideale fisico che non può essere raggiunto.
L’Acceptance and Commitment Therapy si può applicare anche ad altri malesseri non legati all’aspetto fisico?
Le ricerche dimostrano che può essere utile per molte situazioni di difficoltà. È stata applicata con successo in diversi disturbi psicologici come ansia, depressione, disturbo ossessivo compulsivo, disturbo post traumatico da stress, psicosi. L’ACT permette di commettere meno errori sul posto di lavoro e migliorare le prestazioni scolastiche.
Come funziona in sintesi?
Nell’Acceptance and Commitment Therapy sottolineiamo la flessibilità psicologica come una qualità fondamentale della salute mentale. La flessibilità ci consente di imparare ad essere aperti e consapevoli della nostra esperienza, continuando a muoverci verso le cose importanti della vita. Per arrivare a questo si devono praticare quattro opportunità di cambiamento: essere presenti (notare le esperienze di sé e del mondo nel momento in cui si verificano); vedere oltre i pensieri (osservarli senza permettere che prendano il sopravvento sull’esperienza); accettare l’esperienza (accogliere i pensieri dominanti e le emozioni che ne derivano), conoscersi (contattare il sé che è più del modo in cui ci si vede, sente e pensa).
Tra le indicazioni contenute nel manuale c’è quella di «entrare in contatto con ciò con cui si sta lottando». Può spiegarci?
Le lotte con il corpo non si limitano solo all’esperienza fisica, coinvolgono tutto. Essere in grado di connetterci con ciò con cui stiamo combattendo in modo consapevole consente di fare spazio alle opportunità per entrare veramente nella vita e impadronirci delle cose che ci interessano in modo intenzionale.
In un altro passaggio del libro si legge che «creiamo tonnellate di regole, tutte da soli, su ciò che dobbiamo essere e ciò che non possiamo mai essere». Perché attuiamo questo meccanismo e come possiamo superarlo?
Ognuno di noi vive in un mondo in continua evoluzione che può vedere, ascoltare, gustare, annusare e sentire. Siamo in un flusso costante di emozioni, che cambiano di intensità e di caratteristiche. La mente classifica in continuazione e le valutazioni e i confronti danno un senso a tutto ciò che incontriamo. E mentre i momenti si legano insieme nel tempo, costruiamo una storia con il mondo. Creare regole ci consente di semplificare la complessità del mondo che abbiamo intorno ma la loro rigida applicazione ci fa perdere di vista ciò che per noi conta davvero. Come uscire dal meccanismo? Facendo pratica di flessibilità, seguendo la direzione dei nostri valori.