Allenatori sull’orlo di una crisi di nervi

Sport - Ovvero: come non rilanciare le sorti di un club calcistico cambiando colui che lo dirige dalla panchina
/ 29.10.2018
di Giancarlo Dionisio

Se ti chiami José Mourinho e guadagni 26 milioni di euro a stagione per occupare, malaccio, la panchina del Manchester United, oppure sei Marcello Lippi, e a 70 anni suonati, di milioni ne intaschi 23, per guidare l’arrembante Cina-compra-tutto, be’, allora lo stress dell’allenatore è giusto che tu te lo tenga tutto, fino a farti martoriare la più recondita delle cellule nervose.

Zinedine Zidane, all’apice della sua straordinaria parabola di Mister, forse per evitare di cadere pesantemente dallo zenit, dopo aver alzato per tre volte al cielo la Coppa dalle grandi orecchie (Champions League), primo tecnico nella storia, e dopo aver messo in cassaforte, euro più, euro meno, una ventina di milioni all’anno, ha deciso di prendersi un anno sabbatico. Pronto tuttavia a tornare in panchina nelle vesti del salvatore, qualora qualche illustre collega (attento Mou) dovesse fallire.

Se però sei un tecnico in formato local, come Pierluigi Tami, Davide Morandi, o Livio Bordoli, oppure sei un giovane poco più che debuttante, come Guillermo Abascal, lo stress da prestazione ti può far provare momenti di angoscia profonda. Guadagni, nella migliore delle ipotesi, la centesima parte di quanto intascano i Big; sei consapevole del fatto che se la squadra non gira sarai sempre tu a pagare, mai i giocatori. Soprattutto sai che, anche se il magnanimo presidente ti verserà il salario fino alla scadenza del contratto, sul mercato del lavoro i tuoi servigi potrebbero essere recepiti come meno allettanti rispetto a quelli del disoccupato di lusso Zizou. Insomma, se non disponi di un sistema nervoso da Ironman, rischi di trasmettere alla squadra i tuoi dubbi, le tue inquietudini e le tue fragilità, entrando quindi in una spirale negativa che determinerà la tua condanna.

I francesi, per definire il licenziamento di un allenatore, utilizzano il termine limoger, dalla città di Limoges dove nel 1914 il generale Joseph Jacques Césaire Joffre confinò un centinaio di suoi ufficiali ritenuti incapaci. Umiliante! Il presidente del Palermo, Maurizio Zamparini, in 16 stagioni ha proposto un valzer di 47 tecnici. A Sion, Christian Constantin, ne ha avvicendati 50 in 24 anni. Nei loro confronti il leader maximo del Lugano, Angelo Renzetti, è un pivello fermo a quota 13 in circa 8 anni. Poca roba, certamente, ma il presidente bianconero è sulla buona strada.

L’aspetto che dovrebbe far riflettere è che, se prendiamo in considerazione il centinaio di licenziamenti menzionati e i relativi avvicendamenti, scopriamo che la tanto agognata scossa non si è quasi mai verificata. Se escludiamo alcune perle del Sion in Coppa Svizzera, figlie della cultura barricadiera tipica del club vallesano, scorrendo l’albo d’oro non troveremo, negli ultimi decenni, il nome del Palermo e del Lugano. Non solo!, per incrociarli più rapidamente varrebbe la pena di percorrere le classifiche partendo dal basso. E allora l’uomo della strada, o meglio, il tifoso curvaiolo si chiede: a che pro? Se poi esaminiamo più attentamente il gran ballo degli allenatori, soprattutto a Sion e a Palermo, scopriamo dei clamorosi ritorni.

Francesco Guidolin, ad esempio, è giunto alla corte di Zamparini per 4 volte; Delio Rossi, Colantuono e Ballardini 3, molti altri per 2. Come dire: va dove ti porta il cuore? No, piuttosto va dove ti portano l’amore per la tua professione e il senso di responsabilità nei confronti della tua famiglia. Disposto quindi a inginocchiarti al cospetto del Presidente-Principe-Padrone. Sì, perché di sindacati sufficientemente forti per salvaguardare i tuoi interessi non ce ne sono. Se gli allenatori tornano sul luogo del misfatto, non è perché sono dei deboli, non lo voglio neppure immaginare. Lo fanno perché sperano di trovare finalmente i giusti equilibri e le giuste alchimie nello spogliatoio e in campo. E questo subito.

Sanno, infatti, che il grande Capo non attenderà oltre le 4-5 partite prima di iniziare di nuovo l’opera di delegittimazione e di sfiducia. Come vorrei avere una bacchetta magica per portare Pep Guardiola, José Mourinho e Max Allegri sulle panchine di Lugano, Sion e Palermo, e affidare il City, lo United e la Juve a Pier Tami, Davide Morandi e Livio Bordoli. Non mi stupirei se questi ultimi riuscissero a barcamenarsi più che dignitosamente sulle tre panche dorate, a fronte delle imbarazzanti insicurezze dei tre santoni su quelle roventi di provincia.