Alle «erbacce» serve il nostro aiuto

A minacciare le piante autoctone sono le neofíte, piante esotiche che ben si adattano un po’ ovunque, ma a discapito di ciò che c’era prima
/ 28.08.2017
di Marco Martucci

«Lo sai che i papaveri…» è il ritornello di una canzonetta di grande successo, cantata da Nilla Pizzi al Festival di Sanremo del 1952 e che cominciava così: «Su un campo di grano che dirvi non so». E chi non conosceva i papaveri? Negli anni Cinquanta e anche dopo, non c’era campo di frumento senza il rosso brillante delle corolle dei papaveri. Il papavero o rosolaccio, Papaver rhoeas, fa parte di quella flora che si chiama avventizia, che nasce fra le piante coltivate senza che nessuno l’abbia seminata o, anche, segetale, perché accompagna le messi, in latino seges. Ma il papavero aveva un problema: entrava in concorrenza col frumento, compromettendo il raccolto. Era, insomma, una pianta infestante, un’erbaccia. Così, attraverso una sorta di genocidio botanico, migliorando la selezione dei semi e magari ricorrendo a qualche diserbante selettivo, fu scacciato con successo dai campi, relegato ai margini e fatto poi sparire anche da là.

Il campo di grano «che dirvi non so», perché era uno fra i tanti, non si seppe più dire: sparì del tutto. Il papavero poté sopravvivere fra gl’incolti, lungo strade e sentieri: divenne pianta ruderale. Da qualche anno, qualcuno lo sta cacciando anche da quest’ultimo rifugio. Al punto che, se vogliamo di nuovo veder fiorire i papaveri e, con essi, magari anche fiordalisi e camomilla selvatica, tutte piante quasi scomparse, dobbiamo seminarli. Le stesse piante che consideravamo «erbacce» richiedono – è quasi un controsenso – il nostro aiuto.

Chi sta facendo sparire le nostre antiche piante selvatiche sono piante nuove, estranee all’ambiente che, a uno sguardo attento e allenato, suonano come tante note stonate. Mentre il papavero era giunto da noi con le prime coltivazioni millenni or sono e divenne parte della nostra flora, inserendosi negli ecosistemi naturali, queste nuove piante sono arrivi molto più recenti e non fanno solo sparire papaveri e fiordalisi ma ne combinano di peggio: la presenza di alcune di loro può arrecare gravi danni.

Questo nuovo pericolo, una minaccia non esclusiva del nostro territorio ma che si estende a tutta la Terra, sono le neofíte, con l’accento sulla «i», dal greco «piante nuove». Le neofíte sono piante esotiche, allóctone per distinguerle da quelle autóctone presenti da lunghissimo tempo, introdotte intenzionalmente o accidentalmente dall’uomo dopo il 1492, data dello sbarco in America di Cristoforo Colombo, inizio di vasti trasporti di piante e animali da e per ogni angolo del mondo.

Una neofíta è in grado, una volta liberata in natura, di sopravvivere e riprodursi senza l’intervento dell’uomo. Così, per esempio, patate, mais e pomodori, pur essendo un apporto del Nuovo Mondo, non sono neofíte: non sfuggono dalle coltivazioni e, se non vengono seminate dall’uomo, non si diffondono in natura. La ben nota palma del nostro paesaggio turistico, invece, un’esotica giunta a noi dalla Cina a metà Ottocento, Trachycarpus fortunei, è una neofíta e per di più è invasiva. Sfuggita, complici gli uccelli che ne diffondono i semi, da parchi e giardini, si sta sempre più inoltrando nei nostri boschi. Invasiva è una pianta che si riproduce e si diffonde in natura con rapidità e in modo massiccio, mettendo in pericolo la biodiversità perché fa scomparire specie autoctone già presenti, altera la percezione del paesaggio, può causare danni all’agricoltura, all’economia o alla salute.

Ci sono anche specie invasive nostrane, autoctone, come il rovo. Ma le neofíte invasive sono estranee all’ambiente naturale, sono numerose, rapidamente colonizzano molti ambienti. Non tutte le neofíte si rivelano invasive: secondo la regola pratica del 10, di 1000 specie alloctone giunte in Svizzera, 100 riescono a sopravvivere e, di queste, solo 10 s’insediano in natura e una è potenzialmente invasiva.

Fra le non poche neofite invasive, ecco tre esempi. Il Poligono del Giappone, Reynoutria japonica, è in grado di ricoprire completamente le rive dei corsi d’acqua. Il suo fitto fogliame provoca la scomparsa della vegetazione e degli animali, impoverendo la biodiversità e destabilizzando le sponde, maggiormente esposte all’erosione. La Panace di Mantegazzi, Heracleum mantegazzianum, a contatto con la pelle esposta al sole, è causa di serie ustioni. Il polline dell’ambrosia, Ambrosia artemisiifolia, infine, è fortemente allergenico.

Confederazione, cantoni e comuni hanno perciò stabilito norme di comportamento e promulgato leggi allo scopo di eliminare le neofite invasive o almeno di contenerne l’espansione. Nel 2009 il nostro Consiglio di Stato ha istituito il Gruppo Lavoro organismi alloctoni invasivi, brevemente Gruppo Lavoro Neobiota. I Neobiota comprendono sia le piante, le Neofite, sia gli animali, i Neozoi. Fra questi sono tristemente noti il cinipide del castagno Dryocosmus kuriphilus e la zanzara tigre Aedes albopictus. Nell’ambito della lotta alle neofíte invasive è stato condotto durante il biennio 2015-2016 un interessante progetto cantonale pilota. Grazie alla collaborazione interdipartimentale tra il Dipartimento del territorio, il Dipartimento della Sanità e della socialità e il Dipartimento delle finanze ed economia, sono state create due squadre d’intervento, operative dal 2017.

Le squadre sono state composte da persone disoccupate a beneficio di assistenza sociale, nell’ambito dei programmi d’inserimento socio-professionale, che hanno ricevuto una formazione specifica teorica e pratica da parte di esperti e professionisti del Gruppo Lavoro Neobiota. Compiti delle squadre sono la valutazione dell’entità dell’invasione, l’allestimento di un programma d’intervento mirato, l’estirpo e il corretto smaltimento delle piante. Ciascuna formata da un caposquadra e da 6-7 collaboratori, le squadre vengono attivate su richiesta, generalmente da uffici cantonali o enti pubblici.

Nei due anni del progetto, come spiega Mauro Togni, coordinatore del Gruppo Lavoro Neobiota, le squadre sono intervenute in una trentina di comuni su altrettanti siti. Nel 2017 gli interventi si sono moltiplicati. Un esempio importante è quello della Valle di Blenio, dove gli interventi sistematici e costanti degli ultimi tre anni hanno portato a una riduzione dei focolai, soprattutto di Poligono del Giappone, di oltre il 70 per cento.

La situazione rimane in generale molto seria, ma si notano miglioramenti in quelle neofite per cui gli interventi si protraggono durante parecchi anni. La lotta all’Ambrosia effettuata dal servizio fitosanitario negli ultimi dieci anni ha permesso di eliminare questo pericoloso infestante da circa l’80 per cento dei focolai monitorati. La situazione invece sta peggiorando – prosegue Mauro Togni – o comunque non migliora, per quelle specie la cui presenza è già molto diffusa, in primo luogo il Poligono del Giappone, e la cui diffusione viene favorita da un certo modo di gestire il territorio (taglio con decespugliatore a filo, diffusione dei frammenti tagliati nei corsi d’acqua e altro).

Pur se lentamente, la sensibilità della popolazione e degli enti pubblici sta crescendo: aumentano le segnalazioni e le richieste di momenti informativi per la popolazione.

Informazioni
www.ti.ch/neobiota