Lockout e mobilitazione. Sono le parole-chiave del lessico sportivo di queste settimane. La prima è chiara: significa «serrata», «chiusura» totale di tutti gli impianti sportivi, e blocco assoluto delle attività agonistiche. Il rischio di contagio ha ricondotto a più miti consigli anche i più spregiudicati.
La seconda significa: «mettiamo mano ai cordoni della borsa». Da un lato perché il sistema sanitario ha bisogno di qualsiasi forma di sostegno finanziario. Quindi, facendo delle donazioni, lo sport si rende protagonista di una prestazione eticamente encomiabile. Dall’altro perché aiutando i suoi datori di lavoro, riducendo i salari, gli atleti contribuiscono a salvare l’humus economico in cui si muovono, e di conseguenza garantiscono continuità alle loro attività, una volta che si sarà tornati alla normalità.
Non ho nessuna intenzione di stilare classifiche, e tanto meno di dividere gli sportivi in buoni e cattivi. Non posso escludere che ci siano molte persone che hanno agito nel totale anonimato, senza pubblicizzare il proprio operato. Mi limito quindi a sottolineare quanto hanno fatto, in questi giorni, alcuni personaggi-icona. Il tennis, attraverso le sue star, è stato uno dei primi ambiti a mobilitarsi. Si è mosso subito Roger Federer, con la moglie Mirka, donando un milione di franchi alle famiglie svizzere più bisognose.
«Questo nostro contributo – ha dichiarato l’asso della racchetta – è solo un inizio. Speriamo che altri ci seguano». Così è stato. Gli ha fatto subito eco Rafael Nadal, che unitamente alla stella della NBA Pau Gasol, ha lanciato una raccolta di fondi a favore della Croce Rossa spagnola, facendo appello alla generosità di tutti gli sportivi del suo paese. L’obiettivo è raggiungere quota 11 milioni di euro. C’è da credere che il contributo iniziale dei due promotori sia stato cospicuo.
Non poteva restare inattivo il terzo fenomeno, l’attuale numero uno della classifica mondiale. Novak Djokovic e la consorte Jelena si sono pure lanciati in questa sfida di generosità, mettendo a disposizione della Serbia un milione di euro per l’acquisto di respiratori e di altro materiale sanitario. Qualcuno dirà: «Se lo possono permettere». Vero, ma nessuno li ha costretti. Il fatto di essersi messi in campo, implica il riconoscere il loro statuto di esseri umani privilegiati, ricoperti di onori e denaro, ma anche di cittadini pronti a rendere qualcosa a chi sta soffrendo in un momento drammatico della storia recente. Chapeau! Non si è fatta attendere la risposta del mondo del calcio. C’è chi, come Cristiano Ronaldo si è impegnato a favore del suo Portogallo; chi come Pep Guardiola e Leo Messi, ha voluto versare un milione di euro a strutture sanitarie attive in Catalogna; e chi, come Pippo Inzaghi, Ciro Immobile e moltissimi altri loro colleghi, oltre a donare un proprio contributo, ha messo a disposizione la propria immagine per favorire la raccolta di fondi, perché «ogni gesto può fare la differenza».
Alcune società sportive – citarle tutte ci porterebbe lontano – hanno stanziato fondi mirati per l’acquisto di mascherine, un bene tanto prezioso quanto difficilmente reperibile. I grandi club della Bundesliga hanno devoluto 20 milioni di euro alle società finanziariamente più deboli. Si tratta di gesti importanti, solidali, anche se non strettamente votati alla lotta contro il Covid 19.
Così come lo sono state le trattative tra società e calciatori in merito alla riduzione dei salari. Le sorvoliamo con leggerezza, per evitare di addentrarci in un terreno minato. Credo sia opportuno sottolineare la diversità di ambiti: da un lato troviamo la generosità e la solidarietà, figlie di slanci volontari e individuali; dall’altro il rapporto contrattuale tra due partner sociali, non necessariamente obbligati a fare delle concessioni.
Concludo con tre immagini: i leggendari stadi del Maracanà e del Santiago Bernabeu, e il Centro del CONI di Coverciano. Tre luoghi simbolo dello sport brasiliano, spagnolo e italiano, trasformati in ospedali di fortuna. Italia e Spagna, sono tristemente in testa alla classifica dei contagi e dei decessi.
Il Brasile, ha preso da poco la rincorsa, solo perché laggiù la pandemia è arrivata e decollata con un paio di settimane di ritardo. Dopo uno scellerato periodo in cui il presidente Jair Bolsonaro aveva sottovalutato il fenomeno e aveva stabilito un piano di intervento sciaguratamente minimalista, da pochi giorni sta tornando sui suoi passi onde evitare che il suo paese metta la freccia ed effettui il più periglioso dei sorpassi. E sorpassare in galleria, lo si sa, può avere degli effetti devastanti. Che arrivi in fretta la luce.
Aiuta gli altri, e alimenta se stesso
Sport - Sono numerose le iniziative nel mondo dello sport a favore della lotta al Coronavirus
/ 13.04.2020
di Giancarlo Dionisio
di Giancarlo Dionisio