È una parola ancora poco diffusa in italiano, un concetto che sfugge ai più, ma sul quale si concentra un’attenzione crescente. Si tratta dell’ageismo, definito come una forma di pregiudizio e discriminazione ai danni di un individuo in ragione della sua età. In particolare viene utilizzato per definire comportamenti che svalorizzano le persone anziane. Comportamenti sovente animati da buone intenzioni e di cui le vittime non sempre sono consapevoli. Tuttavia gli studi a livello svizzero ed europeo dimostrano che questa forma di discriminazione esiste e supera in percentuale altre assai più note come razzismo e sessismo. Per evitare che la popolazione anziana, in forte crescita, si senta discriminata, occorre puntare sulla sensibilizzazione ponendo l’accento sull’infanzia. A promuovere questo approccio è Christian Maggiori, psicologo e professore alla Haute école de travail social di Friburgo, che studia il fenomeno da diversi anni. Ospite lo scorso settembre del Centro competenze anziani della SUPSI per una conferenza, il prof. Maggiori svela come si manifesta l’ageismo nella nostra società e come può essere contrastato.
Sebbene sia entrato nel dizionario Treccani solo tre anni fa, ageismo – dall’inglese ageism a sua volta composto da age (età) e dal suffisso ism – è un termine che risale alla fine degli anni Sessanta. Fu coniato nel 1969 dallo psichiatra e geriatra statunitense Robert Butler proprio in analogia e assonanza con razzismo e sessismo. Diversamente da questi fenomeni tende però a manifestarsi in maniera poco eclatante e quindi emerge con maggiore difficoltà. Nei Paesi anglofoni è una realtà più conosciuta, come dimostra il suo impiego anche nei titoli dei giornali, ad esempio per il licenziamento di una segretaria. Quali gli esempi nella nostra vita quotidiana? Chi discrimina e chi è vittima dell’ageismo? Risponde Christian Maggiori: «L’ageismo si manifesta a vari livelli della società. Nella comunicazione notiamo pubblicità e titoli che veicolano una visione negativa dell’anziano in contrapposizione all’immagine positiva dei giovani. Sul piano individuale, i familiari e i professionisti chiamati ad interagire con le persone anziane tendono ad assumere, seppure involontariamente, comportamenti poco rispettosi. Parlare alla persona anziana come a un bambino, rispondere al suo posto, compiere azioni in sua vece, sono forme di svalorizzazione. Nella maggior parte dei casi sono però considerati comportamenti normali, per cui gli stessi anziani non sempre li percepiscono come una forma di discriminazione».
Le ricerche scientifiche dedicate all’ageismo forniscono dati che confermano la sua importanza. L’inchiesta sociale European Social Survey, condotta nel 2008 in 28 Paesi europei compresa la Svizzera, ha evidenziato che nelle persone con più di 65 anni il sentimento di essere vittima di ageismo è percepito dal 34% degli intervistati, mentre il sessismo dal 19% e il razzismo dal 14%. Spiega il nostro interlocutore: «I dati sono stati raccolti attraverso un questionario volto a sondare la percezione degli anziani. Abbiamo condotto nel 2017 un’indagine analoga nella Svizzera romanda (Âgisme et décisions fin de vie) che conferma la proporzione di un anziano su tre che si sente discriminato a causa dell’età. L’ageismo vissuto sale all’80,2% quando all’anziano si sottopongono situazioni specifiche, come il sentirsi dire che racconta sempre le stesse cose, che è lento, o ancora il percepire di essere trattato come fosse un bambino. Quest’ultima forma di ageismo, l’infantilizzazione, è tra le più diffuse assieme alla banalizzazione e all’accondiscendenza. Esiste quindi una discriminazione esplicita, più rara (20,8%) e più facilmente percepibile da ambo le parti, e una implicita (40,3%) che contribuisce a rendere il fenomeno per lo più ignorato o comunque tollerato».
Ricercatori e operatori del settore sociale sono invece consapevoli dell’importanza della portata del fenomeno e del ruolo che esso potrà giocare nel prossimo futuro con l’invecchiamento della popolazione. Lo scorso 1. ottobre Pro Senectute Svizzera ha diffuso i risultati di un sondaggio rappresentativo commissionato per appurare se le persone di tutte le età (fra i 18 e i 99 anni) nelle diverse regioni del Paese si sentano penalizzate. L’inchiesta, pure incentrata sulla percezione degli intervistati, offre nell’insieme un quadro rassicurante, evidenziando però sensazioni diverse sui quattro temi indagati – accesso alle informazioni, assistenza sanitaria, ricerca di un impiego, accesso a iniziative per il tempo libero – a dipendenza delle fasce d’età. Risulta ad esempio che una persona su dieci in età pensionabile si sente svantaggiata nel ricevere assistenza sanitaria. Tra i fattori penalizzanti vengono citati i costi, il non essere presi sul serio in fase di diagnosi e l’impressione di non poter accedere ad alcuni trattamenti unicamente per motivi di età.
Il prof. Maggiori conferma che l’accesso alle cure è uno degli ambiti a rischio di discriminazione per le persone anziane, richiamando però l’attenzione su altre importanti fonti di ageismo come la famiglia e i media. In questi casi l’impatto è quotidiano anche se meno percepibile. L’insieme dei campi nei quali si manifesta l’ageismo comporta un’influenza non irrilevante sulla persona a livello di salute, benessere e partecipazione alla vita sociale. Di qui l’esigenza di contrastare il fenomeno. Nelle conclusioni del sondaggio Pro Senectute sottolinea «l’importanza di promuovere la diffusione di un’immagine positiva della terza età». Un’immagine che si costruisce sin dall’infanzia. A fine 2018 il prof. Maggiori ha ricevuto dalla Fondazione Leenaards un fondo (Premio età e società) per uno studio esplorativo sul tema della sensibilizzazione all’ageismo nelle scuole. «Dopo aver appurato l’interesse da parte del mondo scolastico – precisa al riguardo – stiamo avviando la seconda fase composta da una serie di progetti paralleli. Cito il caso di un Comune della Gruyère, dove gli allievi delle scuole elementari dovranno interpellare alcuni anziani per risolvere gli enigmi di un escape game legato al villaggio. Lavoriamo con gli anziani per gli anziani, riscontrando interesse e desiderio di partecipazione». Stereotipi e pregiudizi vengono integrati fin dall’infanzia, per cui è necessario iniziare le azioni di sensibilizzazione molto presto. Aggiunge il nostro interlocutore: «Una volta sviluppati certi automatismi, eliminarli è difficile, ma grazie alla consapevolezza si può riuscire a controllarli. Sensibilizzare i bambini di oggi significa agire sugli adulti di domani e sugli anziani di dopodomani. Ciò permetterà loro nella terza e quarta età di capire meglio quando saranno penalizzati e di conseguenza di far valere i loro diritti».
L’ageismo è una realtà sociale con la quale è necessario confrontarsi, affinché stereotipi, pregiudizi e discriminazioni legati all’età, sia essa avanzata o meno, siano riconosciuti e compresi. Per Christian Maggiori si tratta di affrontare la questione nella giusta prospettiva: chiedersi quando e come si rischia di comportarsi da ageista piuttosto che tentare di smentire di esserlo.
Informazioni sul sondaggio di Pro Senectute Svizzera
www.prosenectute.ch