Silvia Vegetti Finzi (Tipress)

Adulti disponibili all’ascolto

Bambini e violenza - Le famiglie e le scuole di Stabio stanno affrontando le paure e le emozioni dei bambini dopo l’uccisione della giovane insegnante Nadia Arcudi. Abbiamo chiesto un parere a Silvia Vegetti Finzi
/ 21.11.2016
di Simona Sala

Il tragico fatto di cronaca verificatosi recentemente a Stabio ha sconvolto un’intera comunità, che si è ritrovata, senza preavviso alcuno, a fare i conti con una storia di violenza scioccante. Insegnanti, genitori e bambini si sono visti chiamare in campo per far fronte a una situazione di «emergenza» in cui il senso di choc e impotenza è andato di pari passo con la necessità di trovare le parole giuste, soprattutto per i più piccoli. Abbiamo chiesto alla psicanalista Silvia Vegetti Finzi se per i genitori esistano delle strategie di gestione di eventi di questo tipo, anche nei mesi successivi, durante i quali non è raro riscontrare degli strascichi emotivi nei bambini.

Professoressa Vegetti Finzi, quali emozioni può suscitare in un bambino un avvenimento come quello successo di recente a Stabio, caratterizzato da profonda e immotivata violenza in un contesto a lui molto vicino? 
I nostri bambini crescono normalmente in una realtà sicura, hanno fiducia negli adulti e sperano nel domani, per cui l’improvvisa irruzione della violenza minaccia la costruzione stessa della loro identità. Il loro turbamento è tanto più profondo quando il gesto aggressivo non trova un movente comprensibile, una narrazione che gli dia senso, parole adeguate per esprimerlo e condividerlo. E, in particolare, quando riguarda persone che sentono importanti e vicine. I bambini, logicamente egocentrici e affettivamente fragili, tendono a sentirsi personalmente coinvolti negli avvenimenti che accadono intorno a loro. Anche se, oggettivamente, il fatto negativo non li riguarda, si sentono comunque minacciati. Li invade allora un’ansia fluttuante, senza figure, senza parole, la più difficile da controllare e superare, molto più della paura.

Perché l’ansia è più difficile da superare della paura?
Mentre la paura si concentra su una persona, un animale o una cosa determinata, l’ansia si espande su tutta la realtà circostante minando la sicurezza in sé stessi e la fiducia negli altri: «perché gli adulti sono cattivi? e perché i buoni non ci difendono?», si chiedono i bambini in preda a una sindrome di abbandono. In questi casi bisogna innanzitutto testimoniare la nostra presenza, la nostra vicinanza. E, appena troviamo un momento opportuno, spiegare loro che il mondo è buono, che la maggior parte delle persone fa le cose giuste, come il fornaio, il benzinaio, il pasticcere e il pediatra. E se, come accade in un cesto di frutta, tra tante mele ce n’è una guasta, non per questo tutte le mele sono brutte e cattive.
L’affetto che nutrono per le persone di riferimento, genitori e insegnanti, fa sì che sentano come proprie le loro emozioni e che si attendano di essere tranquillizzati e rasserenati dai loro atteggiamenti. Siamo spesso noi adulti a ritenere che i bambini, essendo piccoli, non capiscano che cosa sta succedendo, che i loro interessi siano altrove. Ma non è così, in realtà i «non adulti» hanno mille antenne per cogliere le inquietudini che ci turbano e se cerchiamo, per difenderli, di tenerli all’oscuro di quanto sta accadendo, non li aiutiamo certo perché, nel bene e nel male, nella vita, i bambini ci sono già.

La paura è un’emozione integrante della crescita del bambino, ma quando diventa pericolosa?
La paura fa parte dei meccanismi di difesa di tutti gli animali. Guai se non ci fosse! Diventa pericolosa quando si trasforma in «paura della paura», quando bloccando le reazioni adattive ci paralizza, quando stimola l’aggressività senza pensiero, quando l’altro diventa un nemico da uccidere piuttosto che un interlocutore da convincere, anche litigando.  

Quali ripercussioni può avere un evento di questo tipo a breve, medio e lungo termine? 
I sintomi possono essere i più svariati. Particolarmente frequenti sono la difficoltà ad addormentarsi e gli incubi notturni. Ma anche non aver voglia di giocare, di leggere, di fare i compiti, di parlare esprimono stati di disagio e di malessere. Poiché, in situazioni di allarme, le energie psichiche sono concentrate sul controllo dell’ansia, i bambini spaventati risultano apatici e distratti. Oltre ai disturbi comportamentali, possono insorgere manifestazioni somatiche quali dermatiti, cefalee, difficoltà di digestione, caduta dei capelli e fragilità delle unghie. In questi casi è il corpo che parla e, con i sintomi, chiede aiuto e conforto. 

Quali di questi sintomi necessitano di una presa in cura professionale?
Inutile generalizzare, meglio valutare caso per caso in base alla gravità e alla durata dei sintomi. Parlarne col pediatra che segue il bambino, senza drammatizzare, può essere opportuno, così come rassicurare i genitori da parte delle autorità cantonali. Per offrire accoglienza e comprensione occorre sentirsi accolti e compresi.

Quali possono essere gestiti dalla famiglia e/o dalla scuola?
Poiché la violenza ha colpito una insegnante, una maestra, la figura che rappresenta la scuola, i suoi valori, i suoi scopi, è particolarmente importante che le emozioni suscitate vengano elaborate in classe, collettivamente. Un primo vantaggio è di trasformare l’io in noi, sentire che la comunità intera è stata ferita e che insieme si possono superare i traumi della vita.Nello stesso tempo la famiglia può riprendere il dialogo svolto a scuola iniziando dall’ascolto del bambino, dalle sue domande, senza dilungarsi su spiegazioni non richieste. 

Quali strumenti possiede un adulto per spiegare al bambino l’eccezionalità della situazione, considerando che il bambino ha al proprio attivo un’esperienza di vita piuttosto limitata e molto spesso schermata dagli eventi negativi?
Come dicevo, l’atteggiamento migliore è restare disponibili all’ascolto del bambino e dialogare con lui in momenti riservati e in spazi protetti, evitando, per quanto possibile, di fare del delitto un argomento di conversazione quotidiana. È preferibile non seguire, in sua presenza, programmi televisivi dettagliati e inquietanti. Se pone domande imbarazzanti, potete rispondergli così: la polizia sta indagando e vedrai che prima o poi i colpevoli saranno scoperti e puniti. Per i bambini il poliziotto rappresenta una figura in autorità che simbolizza, non solo il padre reale, ma anche la figura paterna interiorizzata. 

Si dice sempre che la comprensione sia il primo passo verso l’elaborazione di un evento negativo. Fino a che punto è necessario spingersi nella spiegazione di quanto avvenuto? Quali particolari omettere? 
In questi casi le parole dell’adulto devono rassicurare, senza dilatare l’evento con un atteggiamento inquisitorio e analitico. Se la curiosità del bambino va oltre l’essenziale, si può rispondergli semplicemente: questo non lo so, non lo sappiamo, ci vuole tempo per capire.  

L’adulto deve mettersi a disposizione del bambino solamente laddove questi ha delle domande o dei sintomi oppure occorre un approccio attivo da parte dell’adulto?
Un argomento così traumatico va affrontato tenendo conto dell’età del bambino. Per i più piccoli il nucleo incandescente si può avvicinare indirettamente, raccontando una favola perché le favole, anche le più paurose, si svolgono sempre altrove («c’era una volta…») e garantiscono il lieto fine. Ma, oltre a narrare o leggere storie, si possono invitare i bambini a «fare storie». Proprio nel vostro cantone, l’Istituto Ricerche di Gruppo di Lugano ha messo a punto da una ventina di anni il metodo Fare Storie, il cui valore è ormai riconosciuto in tutto il mondo. 

Come può il bambino conservare comunque un ricordo positivo e anche dolce della persona scomparsa, dal momento che questa è stata vittima di una violenza incomprensibile? 
Le persone non scompaiono finché il ricordo le trattiene tra noi. Non si tratta però di una rievocazione fredda ma di attivare il pensiero del cuore, quello che sa lenire le ferite del dolore con il balsamo dell’amore. Il titolo di un libro scritto da Benedetta Tobagi per ricordare il padre, ucciso negli anni di piombo, quando lei era ancora bambina, Come mi batte forte il tuo cuore, testimonia quanta vicinanza ci possa essere nella lontananza. 

Uno dei sintomi più comuni indice di malessere del bambino sono gli incubi. Quanta importanza dare agli incubi e come gestirne concretamente la narrazione? 
Tutti i sogni chiedono di essere raccontati e gli incubi, in particolare, non solo vanno ascoltati con particolare partecipazione, ma l’ascolto va accompagnato da gesti rassicuranti come un abbraccio, un bacio, una carezza. Se il bambino risulta particolarmente turbato, si può invitarlo a disegnarli, scriverli, mimarli. Più che i contenuti del sogno, concentratevi però sulle sue emozioni. Ad esempio: «colora la paura», «fammi vedere cosa senti quando sei felice». Lasciate scegliere a lui il materiale espressivo, le forme, i colori e, alla fine, potete autorizzarlo a stracciare il foglio, cancellare il disegno, scarabocchiare il quadro, tutti modi per esprimere l’aggressività, vincere il male, padroneggiare la paura. 

Di cosa occorre tenere conto nei mesi successivi all’evento?
Che il tempo è un bravo terapeuta e che il dolore, in quanto tale, non è salvifico, come si riteneva un tempo. L’obiettivo da raggiungere è piuttosto l’elaborazione del dolore, la capacità di accettare l’esistenza del male mantenendo un atteggiamento positivo, salvaguardando fiducia e speranza. La sofferenza, se non dilaga, aiuta i bambini a produrre anticorpi contro la disperazione.