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Vittime del bullismo, un’altra riflessione

/ 11.02.2019
di Silvia Vegetti Finzi

Cara Signora Silvia,
mi permetto di scriverle a proposito di quanto lei ha pubblicato su «Azione», in risposta alla richiesta di aiuto della Signora Lidia, insegnante e madre di una ragazza vittima di bullismo femminile.

Mi sembra che nella sua risposta lei si sia dilungata troppo nella presentazione del problema e che il tempo dedicato alla risoluzione sia stato veramente un po’ misero; infatti solo nell’ultimo paragrafo lei afferma, testualmente, che «Non è facile, ma per aiutarli davvero dobbiamo convincerli ad abbandonare i circuiti della violenza e indurli a uscire dal mondo virtuale per costruire, in quello reale, il futuro che le attende».

In qualità di ex-insegnante e genitore di tre figli ora trentenni, posso dire con certezza che il miglior modo per cercare di cambiare una situazione di bullismo sia quello di rassicurare la vittima valorizzandola di fronte a se stessa e alle sue innate capacità. Spronare una vittima a riconoscere i propri valori e la propria forza di carattere, dirle di badare a se stessa senza ascoltare ciò che le dicono le persecutrici, chiederle di avvicinarsi maggiormente a eventuali altre vittime e fare comunella con loro, potrebbe stimolare questa giovane a risolvere i suoi problemi del momento.

Da ultimo vorrei aggiungere che l’ascolto e l’amore dei genitori per i figli che stanno male, può essere di grande aiuto.
Grazie per l’attenzione e cordiali saluti. / Marco Bianchetti

Gentile professore, 
lei ha ragione: ho concesso più spazio all’analisi che ai suggerimenti su come aiutare le vittime del bullismo. Ma, vede, dopo tanti anni di corrispondenza con i lettori, sono convinta, forse a torto, che quando una persona ha compreso il problema, sia in grado di trovare essa stessa le risposte più adeguate alla situazione che sta vivendo. Ciò non toglie che i suoi suggerimenti siano giusti e opportuni e la ringrazio del contributo che generosamente fornisce alla «Stanza del dialogo».

Lei consiglia di « spronare una vittima a riconoscere i propri valori, la propria forza di carattere… ». Perfetto. Ma chi deve assumersi questo compito? Per un adolescente gli apprezzamenti di mamma e papà scivolano via. Sa che lo amano da sempre e per sempre e proprio per questo li prende in scarsa considerazione. Le loro valutazioni gli appaiono scontate e le parole usurate. Vorrebbe piuttosto conquistare l’ammirazione dei coetanei. È da loro che si attende di essere riconosciuto come una persona unica, straordinaria, invidiabile. Ed è per questo che il bullismo gli fa tanto male. 

L’aspetto più inquietante rimane tuttavia che, a lungo andare, chi è preso di mira finisce per condividere il disprezzo dei suoi persecutori convincendosi di essere inadempiente, inadeguato, meritevole del disprezzo che riceve. Inutile aspettare e minimizzare, meglio intervenire subito. Bene quindi ribadire gli aspetti positivi dell’identità. Ma ritengo altrettanto importante riorganizzare la vita delle vittime in modo da spostare almeno in parte le energie (sogni, speranze, paure…) sul mondo esterno, al di fuori della scuola e della famiglia, che rimangono in ogni caso i fondamentali ambiti di riferimento. Risulta molto utile, soprattutto per i più fragili, seguire un’attività sportiva perché l’allenatore può cogliere e sviluppare potenzialità che sfuggono ai genitori e agli insegnanti. Lo stesso vale per altri contesti, come le scuole di recitazione, i corsi di arte, di danza, per i viaggi e il volontariato. Chi è perseguitato dal bullismo si riprende più facilmente dall’umiliazione patita se può presentare una nuova immagine di sé, libera dagli stereotipi che lo imprigionano. Avere a disposizione più palcoscenici su cui esprimersi, stabilire nuove relazioni, concentrarsi su obiettivi condivisi, le sottrae alla tirannia del bullo e al gioco delle parti. Il problema risulta superato quando l’adolescente è in grado di non arrendersi passivamente al giudizio altrui perché ha fiducia in se stesso. Ma non è facile. Poiché nessuno si dà valore da solo, per tutta la vita chiediamo al mondo esterno conferme e apprezzamenti. Tra la boria del narcisista che si auto-incensa e la dipendenza del depresso che si auto-disprezza vi è però una terza via: mantenere aperto un dialogo interiore tra chi vorremmo essere e come ci percepiscono gli altri. È una tensione ardua da sostenere e si può sempre eccedere da una parte o dall’altra ma è proprio l’impossibilità di fissare una volta per tutte l’equilibrio tra i due piatti della bilancia che ci induce a conoscerci e a modificare i comportamenti inadeguati.

Ho voluto intitolare il libro scritto con Anna Maria Battistin L’età incerta: i nuovi adolescenti, per rassicurare gli educatori che le loro oscillazioni non sono del tutto negative in quanto li aiutano a crescere. L’essenziale è evitare tanto di lodarli troppo quanto di criticarli troppo, limitandosi a osservarli, proteggerli e incoraggiarli un po’ da lontano, come quando, da piccolissimi, li abbiamo lasciati liberi di compiere i primi passi, timorosi di vederli cadere, fiduciosi di vederli rialzare e procedere oltre.