Nonostante guasti, ritardi, disservizi e irritazioni, le ferrovie federali restano un’icona nell’universo simbolico elvetico. Sono veicoli d’identificazione immediata; forgiano e plasmano un’identità condivisa e facilmente riconoscibile; nei paesi confinanti suscitano sentimenti di ammirazione. I sovraffollamenti e gli errori gestionali sono giudicati con indulgenza, nella convinzione che siano occasionali e compiuti in buona fede, non malattie genetiche incurabili.
Questo attaccamento emotivo è ormai ultrasecolare, anche se agli inizi – come ricorda Hans-Peter Bärtschi nel suo ultimo saggio appena uscito da Orell Füssli (Schweizer Bahnen 1844-2024. Mythos, Geschichte, Politik) – vi era chi temeva il diffondersi nelle campagne attraversate dal cavallo di acciaio di spaventose psicosi, quali il «delirium furiosum». Molti medici misero in guardia sugli scompensi mentali che potevano derivare dai traballanti convogli lanciati a tutta velocità, per la verità assai modesta. Ma le ansie maggiori riguardavano l’attività economica, la scomparsa dei tradizionali mezzi di trasporto fondati sulla forza animale e dei mestieri che ne accompagnavano l’esercizio.
Per contro intellettuali come Carlo Cattaneo non avevano dubbi: la strada ferrata era strada di progresso materiale e morale, un’invenzione che nella sua propagazione capillare avrebbe permesso di costruire una tela di ragno tra città, stati, continenti; una fittissima trama, come accade d’inverno quando gli «aghi di acciaio si scontrano e s’attraversano a brevi intervalli e con minuta tessitura, finché tutta la superficie dell’acqua ne rimanga invetriata».
Cattaneo non si sbagliava. Centocinquant’anni fa, nel 1869, mentre l’illustre esule lombardo spirava nella sua casa di Castagnola, le prime navi mercantili attraversavano il canale di Suez; qualche anno dopo, nel 1872, un piccolo esercito di operai italiani iniziava a scavare la galleria del San Gottardo.
Che nel nostro paese la cultura ferroviaria sia radicata e profonda, è un dato di quotidiana percezione. Spesso invece sfugge come si è venuta creando e modellando nel corso dei decenni, dalle prime tratte sinuose alle odierne linee superveloci. Alle infrastrutture pesanti costituite da stazioni, ponti, caselli, depositi, centrali, officine, tralicci e cavi occorreva affiancare un’immagine coerente dell’azienda fatta di simboli e pittogrammi; un linguaggio segnico chiaro, che permettesse all’utenza di orientarsi facilmente nel dedalo delle coincidenze.
La mostra allestita al Museum für Gestaltung di Zurigo e visitabile fino al 5 gennaio illustra egregiamente questo percorso grafico: dall’abbondante uso della croce federale (presente un po’ ovunque, sulle fiancate delle carrozze come sul muso delle locomotive) all’abbigliamento del personale, dai caratteri tipografici ai colori scelti per connotare i tabelloni degli orari. Doveroso soffermarsi sull’orologio ideato nel 1944 dall’ingegnere Hans Hilfiger adottando un quadrante tanto essenziale quanto nitido: dodici larghi segmenti neri su sfondo bianco, cui venne aggiunta successivamente una lancetta per i secondi che riprendeva la foggia della paletta usata dagli addetti al movimento. Il prodotto ha conosciuto una larga fortuna, tanto da finire sugli schermi dei dispositivi Apple.
Fin dagli esordi, nel 1902, le FFS hanno cercato di standardizzare il loro sistema di comunicazione visiva, ricorrendo a soluzioni grafiche «calviniste», griglie chiare e lineari, niente fronzoli o trovate audaci, a rappresentare un tipo di approccio allergico ai capricci della moda. Il messaggio coltivato dalle FFS è stato a lungo sinonimo di sobrietà e anche di un certo conservatorismo, basti pensare alla rigidità della gamma cromatica, fondata sul nero e sul grigioverde. Solo recentemente il «corporate design» si è arricchito di nuovi colori e di geometrie innovative. Un capitolo a parte merita la sezione dedicata ai manifesti pubblicitari, laboratorio che ha visto operare artisti come Emil Cardinaux, Hans Erni, Max Gubler, tre nomi internazionalmente noti della scuola grafica svizzera.
Nell’esposizione, che si inoltra anche nei territori dell’ingegneria, dell’architettura e della tecnica ferroviaria, il visitatore ritroverà codici e atmosfere a lui familiari. Perfino la targhetta trilingue che invitava caldamente i viaggiatori a non gettare oggetti dal finestrino, oppure a non esporsi: un eccellente invito ad imparare le lingue nazionali.