Via alle primarie

/ 03.02.2020
di Paola Peduzzi

La campagna elettorale per le presidenziali americane è ufficialmente incominciata, anche se sembra che quella del 2016 non sia mai finita. Il calendario delle primarie – si inizia in Iowa questa settimana, poi si va in New Hampshire – scandirà la prima fase della campagna fino all’estate, quando il candidato democratico che deve sfidare Donald Trump sarà stato scelto. In teoria ci sarebbe un’incognita anche sullo stesso presidente: al Senato americano è in corso il processo di impeachment, il terzo della storia degli Stati Uniti, nel quale Trump è accusato di abuso di potere e di ostruzione dei lavori del Congresso.

Per quanto si tratti di un evento storico e rilevante, quel che accade in aula resta come un rumore di sottofondo: ci appassioniamo più alle lamentele dei senatori che devono restare chiusi lì dentro a bere solo acqua o latte, senza telefoni e senza materiale di svago, che al merito del dibattito. Questo accade non soltanto perché la materia del contendere è complessa – uno scambio che sa di ricatto: gli aiuti militari all’Ucraina in cambio di materiale compromettente su rivali politici: i Biden – ma anche perché il finale è dato per certo: i repubblicani hanno la maggioranza al Senato, se tutti votano per assolvere Trump come sembra vogliano fare, Trump resterà presidente.

Perché perdere tempo?, chiedono i trumpiani che hanno definito il perimetro dello scontro a loro modo, cioè: l’impeachment è una caccia alle streghe messa in piedi dai democratici, che invece di pensare agli americani sono ossessionati dal presidente e dalla voglia di cacciarlo via con ogni mezzo, tranne quello elettorale.

L’incognita su Trump quindi è molto debole, e infatti il team per la sua rielezione sta già pensando ai passi successivi: come sfruttare al meglio l’assoluzione. Per i democratici la strada è più accidentata. Le primarie, per loro natura, finiscono per essere una serie di fratricidi: vince chi ha ucciso tutti i compagni di partito (salvo poi magari ripescarne qualcuno come candidato vicepresidente). In più c’è una frattura ideologica netta dentro al Partito democratico che si approfondisce sempre di più e che fa da fronte di battaglia: moderati di qui, radicali di là.

A livello nazionale, l’ex vicepresidente Joe Biden, quello al centro del caso di impeachment, è davanti, ma la prima fase delle primarie è per lui delicata perché i primi Stati che votano nei sondaggi non lo premiano. Biden è un politico moderato che sta facendo una campagna molto «intima» che gli permette di valorizzare la sua qualità migliore: l’empatia. Incontri ristretti, molte conversazioni su se stesso, il suo buon senso, il suo pragmatismo: pochi guizzi, nessun urlo, molta rassicurazione. Il rivale principale di Biden è Bernie Sanders, senatore del Vermont che non è nemmeno iscritto al Partito democratico ma che già nel 2016 creò un movimento molto attivo e popolare che ancora oggi gli consente di essere seguitissimo: riceve endorsement da molte associazioni legate alla sinistra più radicale, ha una strategia di comunicazione aggressiva aiutata dalla presenza in campagna elettorale al suo fianco di Alexandria Ocasio-Cortez, la star del Congresso che non perde occasione per attaccare l’establishment del Partito democratico, al punto da definirlo «non di sinistra».

L’inizio per Sanders sarà più facile che per Biden, ma bisogna vedere quanto capitale politico riesce a racimolare in questa prima fase: gli servirà quando le primarie si sposteranno a sud, ed entrerà in corsa anche l’ex sindaco di New York, Mike Bloomberg.

Gli altri candidati rincorrono: Elizabeth Warren, che ha vissuto un momento di grande popolarità prima di Natale, oggi patisce lo scontro con Sanders, una lotta nella lotta. I due sono affini ideologicamente, ma si sono accapigliati di recente, e a pagare di più è stata proprio la Warren che non ha a sostenerla quella base molto attiva che ha Sanders. Nel campo dei moderati ci sono in particolare Pete Buttigieg e Amy Klobucher, entrambi poco conosciuti (la seconda ha ricevuto, insieme alla Warren, l’endorsement del «New York Times», che sogna una presidenza rosa). Negli ultimi giorni ha fatto molto parlare la strategia adottata da Buttigieg, sindaco di South Bend in Indiana, per superare il fatto di non avere un nome che suona familiare agli elettori americani.

Invece che fornire ai propri attivisti un elenco di numeri di telefono da contattare per pubblicizzare Buttigieg (c’è chi deve andarsi a sentire come si pronuncia), la campagna del sindaco ha detto ai volontari di convincere principalmente i propri amici, parenti, colleghi. Buttigieg cerca di costruire il proprio network a partire dalle relazioni personali, invece che far fare telefonate che risultano fastidiose e banali, visto che in questo periodo tutti i candidati le fanno. Una attivista in Iowa ha detto di avere grandi speranze: è riuscita a convincere l’ex marito a votare Buttigieg, vuol dire che può convincere chiunque.