Vacanza a Berlino con sindrome

/ 15.07.2019
di Ovidio Biffi

Fine primavera a Berlino. Fatti due calcoli optiamo per il treno fino a Zurigo. La spinta non giunge da Greta Thunberg, ma da un’offerta delle Ffs: ritiro del bagaglio a domicilio e consegna all’aeroporto di Berlino, con check-in compreso. Mi è sembrato un ottimo servizio. Per sicurezza chiedo lumi agli sportelli di Lugano stazione. Fattibile, mi dicono; devo solo prepararmi riempiendo un formulario reperibile sul sito delle Ffs. Subito mi accorgo che non mi accetta la data di partenza che è poi quella della giornaliera e del volo. Ricorro allora al numero telefonico lunghissimo per avere informazioni e scopro un piccolo particolare non trovato sul sito: per usufruire del comodissimo servizio occorre preparare e consegnare i bagagli a chi li ritira almeno 5 giorni in anticipo! Cioè: 120 ore prima delle 100 ore a Berlino...

Di colpo non è più un ottimo servizio. Ma non sarà mica una tragedia, per un arzillo vecchiotto, trascinare 25 kg di Samsonite sui perron delle Ffs per arrivare all’aeroporto di Kloten. Infatti ci arriviamo: si sbuca dalla sotterranea e ci si dirige ai check-in, per la solita attesa. C’è tempo per qualche considerazione sul viaggio in treno appena compiuto. Innanzitutto internet: anche per le Ffs è ormai via obbligata e, in teoria, tutto diventa digitale, quasi puerile con uno smartphone. E chi il cellulare non ce l’ha? Che s’arrangi. Dato che l’arrangiarsi comprende anche la possibilità di beneficiare di biglietti risparmio e giornaliere delle Ffs, me la cavo esibendo al capotreno l’icona digitale stampata dal pc su un foglio A4. Ho notato che tra Zurigo e Kloten un controllore ha impiegato tutto il tempo (12 minuti) per intercettare e vidimare elettronicamente i documenti di una decina di passeggeri.

Mette tenerezza pensare che 30 anni fa un bigliettaio (si chiamavano così) con la sua mitica perforatrice avrebbe obliterato decine e decine di biglietti di 5 cm per 3 cm di antica memoria. Basta Ffs, anche perché in attesa sul Bombardier che avrebbe dovuto partire alle 13.35 c’era la sindrome di Berlino. Meteo perfetta, alle 13.40 tutti a bordo, ma fermi, a sentire una serie di poco comprensibili comunicati del pilota per una probabile disputa con la torre di controllo. Ci consolano con cioccolatini rossocrociati fino alle 14.45, momento in cui riusciamo a staccarci dal suolo elvetico.

Viaggio piatto di un’oretta e, arrivando a Tegel con un’ovvia ora di ritardo, qualcuno deve aver pensato che il volo fosse stato annullato. Solo così si spiega la scaletta di accesso ferma a un metro dalla nostra carlinga in attesa che qualcuno la attaccasse alla porta. Lo ha fatto 35 minuti dopo l’arrivo, contribuendo ad accorciare la nostra vacanza: la sindrome dei ritardi aveva annullato il programma del sabato pomeriggio. Suggestivo comunque il tuffo nella grande Berlino: verso sera, uscendo dall’albergo dall’altra parte della strada vediamo il muro; ovviamente non quello originale caduto nel 1989, bensì una copia riposizionata dal municipio lungo la Sprea come lavagna / palestra per artisti.

Superate le strisce pedonali eccoci davanti al tremendo bacio fra Breznev e Honecker, spettacolo in parte mitigato da lucchetti con iniziali e messaggini di innamorati appesi su un vicino reticolato-finestra del muro. La domenica la trascorriamo con ampi giri sui bus turistici per conoscere quartieri e luoghi storici. Il giorno dopo, per le visite mirate, ci affidiamo a una brava guida (ex-allieva alla Supsi) che da otto anni vive nella capitale della Germania. Martedì tutto per recuperi di «must see» da visitare, compresa una bella mostra di Emil Nolde nell’Hamburger Bahnhof, stazione della vecchia Berlino est ora museo dell’arte moderna tedesca. Ripercorsa l’Unter den Linden verso Alexanderplatz, scopriamo una delle tante fonti della sindrome dei ritardi: trent’anni dopo la «Wiedervereinigung» Berlino esibisce ancora un cantiere ogni due o tre isolati.

I più impressionanti sono quelli delle grandi opere pubbliche, spesso aperti da anni, come la ricostruzione dell’Humbold Forum nel cuore della capitale tedesca. Era l’immensa reggia/castello, residenza degli Hohenzollern, distrutta durante la guerra, lasciata in rovina dalla Ddr e ora «salvata» dal governo tedesco. I ritardi stanno rinfocolando le critiche non tanto per i 700 milioni di euro già spesi (poca cosa rispetto ai miliardi ingoiati dal nuovo aeroporto Brandenburgo che sta diventando vecchio senza entrare in funzione) ma verso le destinazioni museali e le iniziative culturali previste dall’università Humbold.

Passando il ponte sulla Sprea, impossibile non imbattersi sulla riva opposta in Karl Marx e Friedrich Engels, ovviamente in bronzo e monumentali: sembrano i due vecchietti delle vignette che spiano il mega-cantiere, magari con qualche nostalgico «ai nostri tempi»... La vacanza a Berlino è finita. Anche il volo Swiss di rientro accumula ritardo, forse per restituirci l’ora «rubata» all’arrivo.