USA-Cina, non solo guerra commerciale

/ 14.05.2018
di Peter Schiesser

I primi colloqui fra i massimi negoziatori americani e cinesi a Pechino la settimana scorsa, cui seguirà questa settimana l’arrivo a Washington di Liu He, il consigliere economico del presidente Xi Jinping, per negoziati ad alto livello, mettono in evidenza la natura del conflitto fra gli Stati Uniti e la Cina: non si tratta solo di una guerra commerciale, si tratta di una lotta per la supremazia mondiale.

Il piano di politica industriale di Xi Jinping denominato «Made in China 2025», con cui intende portare il paese ai vertici dello sviluppo tecnologico mondiale, ha spaventato Washington. Non a caso le sanzioni annunciate dal presidente americano Trump puntano a colpire i cinesi, oltre che nelle relazioni commerciali, anche nei settori chiave per conquistare la supremazia tecnologica. Il divieto imposto alle società americane di vendere componenti tecnologiche ai cinesi mette a nudo la forte dipendenza di questi ultimi dall’high tech statunitense; in particolare la metà dei semiconduttori utilizzati in Cina, elemento chiave per smartphone, tablet, computer, viene importata dagli Stati Uniti. A breve termine, questo avrà serie conseguenze economiche per le aziende  cinesi più dipendenti dall’America, ma spinge la Cina a perseguire in modo ancora più deciso un’indipendenza tecnologica. Il fondatore di Alibaba, Jack Ma, ad esempio, si è posto l’obiettivo di sviluppare microchip a buon prezzo e più efficienti per tutti e investe da alcuni anni in cinque aziende che producono semiconduttori (NZZ, 28.4.18).

Donald Trump è convinto che la bilancia commerciale sia la chiave di volta del successo o meno dell’economia di un paese. Nel quadro della lotta per fermare l’ascesa del rinato Impero di mezzo, i negoziatori americani hanno quindi messo sul tavolo a Pechino la richiesta alla Cina di ridurre di 200 miliardi di dollari entro la fine del 2020 il surplus commerciale, sui 375 stimati da Washington (secondo altri calcoli, sarebbe inferiore di un terzo). Ciò significa che le importazioni di prodotti americani dovrebbero raddoppiare in due anni – abbastanza irrealistico. Inoltre, il presidente americano dimentica la forte relazione fra i disavanzi commerciali degli Stati Uniti con il resto del mondo e la predominanza del dollaro come valuta internazionale: scrive il professore americano di origine cinese Lan Cao (NYT, 28.4.18) che «una volta affermatosi come valuta di riserva globale, il dollaro è stato mantenuto forte da una sostenuta richiesta, e un dollaro forte rende costosi i prodotti americani, per gli altri paesi del mondo. Le esportazioni americane declinano, le importazioni aumentano e il risultato è un disavanzo commerciale».

Washington sa che gli Stati Uniti possono frenare l’ascesa della Cina solo se saranno sempre un passo avanti, tecnologicamente ed economicamente. Gli americani vogliono però a tutti i costi evitare di perdere la supremazia a causa di pratiche illecite e di privilegi tariffari ormai sorpassati, concessi a Pechino nel 2001 in virtù dello statuto di economia in via di sviluppo, chiedono quindi alla Cina di aprire alle aziende americane il suo mercato, senza più limitazioni né obblighi di cedere il know how tecnologico. Washington punta ad una lotta dura ma ad armi pari. Tuttavia, finora Pechino non ha mostrato di voler stare al gioco di Washington.