«Solo le pietre non si muovono», replicava Indro Montanelli all’accusa d’incoerenza e opportunismo. Lui, infatti, molto si era mosso lungo un itinerario professionale e personale, a zig zag fra testate giornalistiche e ideologie, e lo confessava. Confermando, così, un aspetto dell’arte di vivere in un paese, politicamente instabile, in cui adattarsi al vento che tira diventa una necessità. Succede, una volta ancora, in questi giorni, nei confronti di una nuova compagine governativa, che sconcerta, magari non piace, però non si sa mai. E, dal nostro osservatorio di ticinesi, vicini ma estranei, stiamo assistendo alla corsa per salire sul carro del vincente, pronti a definirla il solito vizio italiano. Mentre, a ben guardare, non si tratta di una prerogativa della Penisola e neppure di un vizio. In altre parole, cambiare opinione non coincide sempre e soltanto con una forma di deplorevole camaleontismo. Può, invece, rappresentare il frutto di un ripensamento coraggioso, una conquista persino sofferta, maturata alla luce di nuove situazioni politiche e di rivelazioni storiche ormai inconfutabili.
L’abbaglio ideologico non risparmia neppure le menti benpensanti, e persino nella cauta Confederazione elvetica. Come emerge da un episodio, rievocato recentemente sulla stampa d’oltre Gottardo: risale alla seconda metà degli anni 70, quando eminenti personalità della nostra politica e della nostra cultura non percepirono il pericolo Pol Pot. Con il senno di poi, si parla adesso di «un tremendo errore», provocato dal clima del momento. Dopo la guerra in Vietnam, sotto l’influsso di un diffuso antiamericanismo, uno dei più crudeli dittatori del secolo fu scambiato per il paladino della giustizia sociale e della pace. E ottenne sostegno morale e aiuti dagli ambienti più evoluti dell’Occidente. USA compresi, con dichiarazioni di simpatia di Joan Baez e persino di Noam Chomsky. Anche dal Ticino, partirono alla volta della Cambogia messaggi di simpatia, persino patetici, e giustamente da dimenticare. Infatti, dopo quella sbandata, in molti casi intervenne il ravvedimento. Dimostrando, risultati alla mano, che sostituire un’opinione può avere un esito virtuoso. Abbiamo sotto gli occhi, in Ticino, una generazione di «ex», diventati governanti capaci e magistrati irreprensibili.
Ora, rischio o vantaggio che sia, il cambiamento non riguarda solo la politica. Non è, insomma, questione di marxismo sì o no, di blocchi contrapposti. Ci si trova costretti a fare scelte d’ordine etico, scientifico, religioso: parità di genere, diritti omosessuali, eutanasia, immigrazione, razzismo, robot, e via dicendo. Cioè, ambiti allargati, o invece settoriali, che sfuggono alle nostre reali capacità di giudizio. In definitiva, il vero problema non è cambiare opinione, per adeguarsi ai tempi, bensì riuscire a farsela, un’opinione. Può sembrare un paradosso nell’era dell’informazione per tutti e su tutti che scarica, ininterrottamente, notizie e immagini in tempo reale, su un pubblico, che, però, non riesce ad assimilarle, a farsene, appunto, un’idea. Certo non mancano gli specialisti benintenzionati, anche in Ticino con un efficiente «Osservatorio della vita politica», che, sulla scorta di analisi e statistiche, cercano di chiarire un quadro caotico e indecifrabile. Le previsioni, vedi elezioni Usa e Brexit, confermano che questa, comunque, non è una scienza esatta.
In simili condizioni, si spiega, anche se non si giustifica, lo stato d’animo dominante anche nelle democrazie, che fa capo a un comune denominatore, dalle tante definizioni: antipolitica, antisistema, anticasta, antipoltrone o cadreghe, vicino al popolo, libertario, anarchico, e via dicendo.
In questo clima si sfilacciano le diversità che, sino a pochi decenni fa, separavano i partiti storici. E quindi rendevano visibile, addirittura scandalosa, la figura di chi passava dall’uno all’altro. Era il cambia casacca o «Il voltamarsina», come s’intitolava un romanzo in cui l’autore, il giornalista e sacerdote don Alberti, denunciava un vizio, allora grave, si era negli anni 20. Adesso ha ben altri connotati. Serve a personaggi, tipo Sgarbi o Freccero a rinfrescare la notorietà. Anche in Svizzera qualche caso non manca: il più noto è Markus Somm, già redattore del «Tagi», comunista seguace di Trotzkij, e adesso seguace di Blocher. E oggetto di chiacchiere ma , certo, non di anatemi.