È stato lo shutdown governativo più lungo della storia degli Stati Uniti (che negli ultimi 40 anni ne ha conosciuti 21): per 35 giorni 800mila dipendenti del governo federale sono rimasti senza paga, ma 420mila hanno dovuto continuare a lavorare per garantire i servizi essenziali (compresa la sicurezza della famiglia del presidente), innumerevoli altri sono rimasti senza reddito o quasi a causa di uffici, musei e parchi nazionali chiusi, la qualità di compiti importanti come quelli della guardia costiera e degli addetti alla sicurezza aerea ne ha risentito fortemente. Alla fine il presidente ha ceduto, accettando di porre termine allo shutdown senza ottenere il finanziamento per il muro al confine con il Messico. The loser questa volta è lui, Donald Trump, lui che manifestamente riesce a provare solo disprezzo per i perdenti. Certo, ha cercato di relativizzare la sconfitta, assicurando che non rinuncerà al muro, a costo di far ricorso ai poteri speciali, e poi lo shutdown è solo sospeso per tre settimane...
Ma che cosa è successo? Come mai Trump ha ceduto in cambio di nulla? Ora che i democratici hanno riconquistato la Camera dei rappresentanti, Trump ha incontrato la prima persona che gli tiene testa: Nancy Pelosi, speaker della Camera, che di fatto occupa una carica istituzionale pari a quella del presidente – in virtù della separazione dei poteri fra legislativo ed esecutivo. E Donald Trump non solo non ha potuto far valere il suo potere, è persino cascato nel tranello tesogli da Nancy Pelosi: in una riunione alla Casa Bianca, davanti alle telecamere accese, il presidente si è talmente infuriato per il no al muro di Pelosi e del capogruppo democratico al Senato Schumer, da dichiarare che avrebbe decretato lo shutdown del governo se i democratici si fossero opposti al finanziamento. Essendosi assunto la responsabilità della chiusura, la sconfitta risulta ancora più bruciante. E il disappunto fra gli elettori, anche fra i suoi sostenitori, elevato: qui si è giocato sulla pelle del semplice cittadino, danneggiando l’economia, dando prova di scarsa sensibilità sociale (un ministro di Trump, miliardario, si è detto stupito che i lavoratori senza paga non volessero semplicemente ricorrere a dei crediti privati), per una sorta di capriccio politico del presidente.
Vista la tenacia di Nancy Pelosi (che ha pure impedito a Trump di tenere alla Camera il discorso sullo stato dell’Unione prima della fine dello shutdown) e l’intenzione dei democratici di mostrarsi compatti, si può desumere che la seconda metà del mandato sarà più difficile per Trump. Non ha più una maggioranza repubblicana in entrambe le camere del Congresso che gli obbedisce per convinzione o per timore di essere punita dalla base del partito, perciò ha due opzioni: o va allo scontro permanente rischiando altre umilianti sconfitte, oppure accetta dei compromessi con i democratici, ora ben consapevoli del loro potere di ostruzione. Ma i democratici non si accontenteranno di questo: faranno di tutto per picconare il presidente anche sul piano personale, esigendo la pubblicazione delle sue dichiarazioni fiscali, istruendo qualche altra inchiesta. Nel frattempo, l’inchiesta coordinata da Robert S. Mueller (con la S che sta per swan, cigno) sui rapporti fra il suo staff e la Russia cresce di intensità: con l’arresto di Roger Stone, già consigliere di Trump, si arriva sempre più in alto nella cerchia degli uomini della campagna del presidente. Stone si era vantato di conoscere in anticipo le rivelazioni di Wikileaks su Hillary Clinton e di avere rapporti con un cittadino russo, risultato essere uno degli hacker che hanno sottratto dati al partito democratico. Per The Donald, questi due anni non saranno una passeggiata.