L’alleanza filo-europea è rinata: il Consiglio federale è riuscito a ritrovare un’intesa con i sindacati, con cui ha elaborato un accordo su come contrastare gli effetti negativi della libera circolazione delle persone. Mercoledì 17 maggio ha presentato un pacchetto con sette misure concrete su come sostenere i lavoratori anziani che perdono il lavoro, sia nella ricerca di un nuovo impiego, sia con un appoggio formativo, ma in particolare introducendo una rendita ponte che garantisca 2400 franchi di reddito, affitto e cassa malati gratuiti ai disoccupati che, dai 60 anni in avanti, sarebbero costretti a far capo all’aiuto sociale. Il tutto per un costo stimato di 100 milioni di franchi all’anno all’inizio, fino a 2-300 milioni successivamente, da cui andranno però dedotte (nei conti della Confederazione) le minori spese che dovrà sostenere l’aiuto sociale. Oltre ai sindacati e al mondo economico, che non sopporterà costi, hanno plaudito all’annuncio di massima (il testo definitivo verrà messo in consultazione in estate) anche i partiti di sinistra e di centro; l’unico dal quale è venuto qualche mugugno, a parte l’opposizione di principio dell’UDC, è il PLR, nonostante l’artefice di questo accordo fra le parti sociali provenga dalle sue fila.
La questione, in fondo, è molto semplice: il 14 febbraio 2014 la classe di età che ha votato in misura maggiore per l’iniziativa dell’UDC contro l’immigrazione di massa è stata quella fra i 50 e i 59 anni. Anche se le statistiche dettagliate rivelano che fra i 55 e i 64 anni si rischia meno di restare senza lavoro e che deve ricorrere agli aiuti sociali una percentuale inferiore alla media (benché il periodo poi risulti più lungo rispetto ai giovani), fra gli over 50 il timore di finire in quelle condizioni è soggettivamente più forte e influenza il giudizio sulla libera circolazione. Si trattava quindi di rivolgersi soprattutto ai dipendenti più anziani, dando ai sindacati un chiaro segnale in favore della protezione dei lavoratori. La consigliera federale Karin Keller-Sutter (PLR) è stata esplicita: «dobbiamo essere onesti e riconoscere che la libera circolazione non porta solo vantaggi ma anche svantaggi», aggiungendo che «il Consiglio federale non vuole una Svizzera divisa».
Non è casuale che accanto al collega Alain Berset sedesse Karin Keller-Sutter (Guy Parmelin era assente per un impegno concomitante): è lei che è stata incaricata dai colleghi di governo di ricucire l’alleanza filo-europea coi sindacati, dopo che l’estate scorsa i passi falsi diplomatici di Cassis e Schneider-Amman avevano spinto i sindacati sulle barricate contro l’accordo istituzionale negoziato con Bruxelles. Keller-Sutter vanta infatti ottimi rapporti personali e politici con Paul Rechsteiner, fino a poco tempo fa presidente dell’Unione sindacale svizzera, fin da quando sedevano entrambi nel Consiglio degli Stati per il canton San Gallo. Al punto in cui erano giunti i rapporti fra sindacati e Cassis e Schneider-Amman, solo lei poteva riuscire a ricucire lo strappo. Era assolutamente necessario per non far crollare l’intero castello delle relazioni con l’Unione europea, e ci si doveva riuscire al più presto. Perché c’è l’accordo istituzionale con Bruxelles da salvare, ma secondo Keller-Sutter ancor di più l’alleanza doveva risorgere per contrastare l’iniziativa dell’UDC sull’abolizione della libera circolazione (e quindi dell’intero primo pacchetto di accordi bilaterali) su cui voteremo presumibilmente l’anno prossimo. Anzi, per Keller-Sutter l’accordo istituzionale con l’UE può attendere ancora un po’.
Con la sua svolta sociale il Consiglio federale prende atto di non poter prescindere dalla difesa del mondo del lavoro se vuole salvare i Bilaterali. Si può quindi ripartire con nuovo slancio nelle relazioni con l’UE. Tuttavia, l’impressione oggi è che a dettare ritmi e contenuti sarà più Karin Keller-Sutter che Ignazio Cassis.