Tra meno di un anno si vota per le cantonali (7 aprile 2019). Si prevede che l’esecutivo – ovvero il Consiglio di Stato – rimarrà immutato, salvo sorprese dell’ultima ora (scandali, sgambetti, sconfessioni). Tutti gli uscenti puntano alla riconferma. Più vivace sarà invece la contesa per i seggi del Gran Consiglio.
Dopo i trabalzoni delle ultime tornate elettorali, determinati dall’avanzata della Lega, il Ticino non esprime più ansie di cambiamenti radicali. Il quadrante dei fronti appare stabile, così come il principio della collegialità governativa su base proporzionale. Questo non significa che sotto il pelo dell’acqua regni una quiete fangosa. Finita l’estate, gli stati maggiori si rimetteranno al lavoro per studiare piattaforme programmatiche e perfezionare strategie. Solo allora si capirà se gli iscritti (la «base») manifesteranno insofferenza verso i loro rappresentanti in governo (qualche segno in tal senso è già emerso nel corso dei recenti «affaires»).
Se il cantone sta fermo o quasi, oltre frontiera tutto è agitazione. Difficile pensare che le convulsioni italiane non rimbalzino nel microcosmo ticinese, sotto forma di tic linguistici e retorici, comportamenti, concetti, suggestioni di varia natura. L’appartenenza ad un’altra cultura politica (quella confederata) non ha mai impedito di recepire ed assorbire pregi e difetti maturati nelle sempre ubertose terre italiche. Nonostante il crescente distacco intervenuto negli ultimi anni verso l’Italia per le ragioni a tutti note, l’elettorato ticinese rimane sensibile agli umori che fanno vibrare la penisola. Una rete farcita di politica come La7 di Enrico Mentana conta un buon numero di telespettatori anche nell’Insubria elvetica. D’altronde è impossibile scrivere la storia del nostro cantone prescindendo dalle influenze esercitate dall’Italia politica sui partiti e la stampa al di qua del confine. Si pensi solo ai numerosi pubblicisti d’origine lombarda che fin dall’Ottocento trovarono un’occupazione nelle redazioni della piccola repubblica ticinese.
E già che siamo in tema (la stampa), quale sarà questa volta il ruolo dei quotidiani e dei settimanali nell’orientare le scelte dell’elettore? Ovunque l’eclisse delle testate tradizionali, nate tra Otto e Novecento, sta trascinando con sé anche le figure del giornalista-opinionista e dell’intellettuale che contribuiva a guidare/indirizzare la platea dei lettori-elettori. Negli ultimi anni questo legame si è andato sfilacciando. Il lettore-elettore si è via via sganciato dai canali cartacei per buttarsi nella rete, in particolare nei media sociali o «social», uno spazio non più presidiato dai cultori delle belle lettere ma dai pubblicitari, dai grafici e dai suggeritori. Si ha insomma l’impressione che la formazione dell’opinione pubblica non dipenda più (o dipenda sempre meno) dalla penna di raffinati editorialisti, ma da una raffica di commenti sgorganti da incontrollabili travasi di bile. Tra qualche mese sapremo come reagiranno i partiti a queste nuove frontiere della comunicazione, già protagoniste altrove di gravi sconquassi per la democrazia.
I partiti dovranno poi armare i loro carri da battaglia con temi di sicura presa. Negli ultimi appuntamenti hanno occupato l’agenda questioni come l’afflusso dei frontalieri, la gestione dei profughi, la sicurezza e i rapporti con Berna: argomenti che pur rimanendo sul tappeto come oggetto di continua negoziazione non sembrano più in grado di suscitare ondate emotive traducibili in voti. Maggior incidenza avranno invece argomenti come l’incremento vertiginoso della spesa sanitaria, con i relativi costi per gli assicurati; la paralisi del traffico nei centri urbani e sull’asse autostradale Chiasso-Lugano; la cementificazione del territorio; le famiglie del ceto medio sospinte verso il basso dalla soma di tasse e balzelli.
Infine bisognerà tener d’occhio le tendenze di lungo periodo, com’è ormai il caso in tutte le «decadenti» società occidentali: l’invecchiamento della popolazione, fenomeno dalle molteplici implicazioni, dalle case di riposo alla qualità delle cure infermieristiche; la formazione scolastica e professionale delle giovani generazioni, alle prese con un universo produttivo sempre più mobile e imprevedibile; l’urgenza di salvaguardare le risorse naturali e ciò che rimane in piedi del passato. «Vaste programme», con tanti auguri ai candidati vecchi e nuovi in procinto di scendere nell’arena.