In pieno agosto, con il Municipio garante e con il supporto dei vari ambienti interessati, Lugano ha deciso di dotarsi di una task force che avrà un compito poco comune: individuare un elemento in grado di caratterizzare la città agli occhi del turista svizzero e internazionale. Il «Corriere del Ticino», già nel lancio della notizia in prima pagina, precisava che il traguardo dovrà risultare una componente trainante «come lo è il jazz per Montreux o la musica classica per Lucerna». «Vaste programme» direbbero i francesi. Compito decisamente arduo (e aggravato dalle ricadute del caso «SkyWork») ma che rischia di diventare il solito esercizio «a secco» visto che si limita a guardare il dito e a non interessarsi della luna.
Giustamente ci si preoccupa di strade con palazzi, uffici e negozi vuoti e delle conseguenze che ne derivano per i commerci e il turismo. Ma stiamo guardando solo il dito, forse la mano. Continuiamo a trascurare la luna che sta dietro, le migliaia di uomini e donne che nell’ultimo decennio hanno detto addio alla città, al centro e alla sua attrattiva. È questa, a mio avviso, l’anima che si vorrebbe recuperare e che è svanita («sfrigüiada» si direbbe in dialetto) svuotando di vita i centri cittadini (sto parlando di Lugano, ma è fin troppo chiaro che il discorso si addice ad altri centri del cantone). È l’essenza – o la fattura se volete – costituita da migliaia di posti di lavoro, oggi soprattutto del terziario avanzato, ma prima ancora di tante nicchie dei servizi e dell’artigianato, persi per colpa delle «scelte di vita» sinonimi di prepensionamenti, di attività scomparse o di altre legittime opzioni a cui nessuno ha mai badato prima della crisi. Per decenni politici e amministratori hanno badato solo a incertezze ed equilibri dei contributi fiscali, quasi mai agli uomini, alle donne e alle famiglie, alle migliaia di persone «perse» dalla città. Municipi e addetti erano impegnati a nascondere, ad abbellire o riciclare il vuoto, quando invece avrebbero dovuto pensare ai rapporti, alle energie e ai valori umani che se ne stavano andando: prima per scelte proprie, poi per mai osteggiate politiche dei datori che riducevano o spostavano i posti di lavoro, infine per l’aggravarsi della crisi. Non sto dando fondo al pessimismo. Sto solo cercando di arrivare ai numeri che contano, alla luna nascosta. Moltiplicando 3000 persone che non hanno più domicilio, o un posto o legami di lavoro in centro (e sono ottimista, credo, se non conteggio quelle sostituite da frontalieri), per 5 giorni della settimana e ancora per una cinquantina di settimane si supera di sicuro il mezzo milione di presenze annue (quindi costanti, non «da autosilo» o da mordi e fuggi) che sono svanite. È questo, a mio avviso, il peso dell’anima che Lugano ha perso. Ed è anche il volume della luna a cui bisognerebbe oggi saper guardare con un legislativo e un esecutivo schierati, piuttosto che seguendo una task force.
A fine agosto, su questa stessa pagina il professor Angelo Rossi in un magistrale sorvolo sui dati dell’andamento demografico delle città svizzere, dopo aver annotato che l’età media della popolazione di Zurigo, nel corso degli ultimi 6 anni, è scesa da 42 a 38 anni, ha indicato anche lui la luna luganese: Lugano è «città in perdita di attrattiva, che continua ad invecchiare e che detiene, tra le maggiori città svizzere, il primato di longevità media della sua popolazione: 46 anni nel 2016». Da questi dati, piuttosto che dai miei azzardi, dai numeri dei posteggi o delle cifre d’affari in picchiata, è possibile derivare la traccia di una potenziale proposta di «elemento caratterizzante»: sconfiggere il tasso di denatalità. Certo, niente a che vedere con arti, commerci o turisti, e nessuna promessa di risultati immediati sotto il profilo economico. Eppure pensare e costruire una Lugano «young friendly» (o addirittura «kids friendly») per chi torna ad abitarla o chi la visita è una visione che allargherebbe il respiro. Oggi è proprio grazie al ringiovanimento della sua popolazione che Zurigo conosce una crescita caratterizzata da fervore giovanile e garantita da decine di dinamiche «start up» che offrono nuove opportunità di lavoro e fanno rivivere interi quartieri dettando i trend più moderni alla città, dall’architettura sino ai servizi. Un obiettivo, quello del ringiovanimento demografico, che difficilmente verrebbe scelto da esperti obbligati (dalle girandole del marketing) a proporre soluzioni... realistiche. Potrebbe invece entusiasmare una amministrazione che in parallelo sappia impegnarsi anche a smuovere la nostra riluttanza verso l’imprenditorialità e verso il rischio, nonché a convincere i cittadini che l’elemento costitutivo del nostro futuro non potrà più arrivare, come è capitato con il turismo e il finanziario, per grazia ricevuta.