Cara Silvia,
innanzitutto mi complimento con lei, leggo costantemente la sua rubrica che trovo davvero molto utile e interessante.
Ho vergogna di farlo ma mi spingo a scriverle perché, da un anno circa, sto vivendo male una situazione nella quale io stessa, ahimè, mi sono cacciata.
Partiamo dall’inizio: sono una donna ormai quarantenne, sposata con un uomo che mi vuole bene, due splendidi bambini, una casa. Insomma tutto quello che dalla vita una persona potrebbe desiderare. Dovrei essere felice ma così non è. Da un anno circa nella mia vita è entrata, o meglio rientrata, una persona con la quale ho avuto una relazione prima del matrimonio. La relazione era finita molto male. Pensavo l’avessi superata ma quando ci siamo rivisti ci siamo ritrovati, piaciuti e abbiamo iniziato quasi subito una storia da amanti (lui è fidanzato con una sua coetanea 45enne). Ci sono ricascata e, se all’inizio mi sentivo molto euforica e lusingata da questa novità, con il passare del tempo mi rendo conto che ora penso a lui in modo ossessivo, non mi sembra conti nient’altro. A casa sono spesso nervosa e vivo in una sorta di paralisi mentale, uno stato di stand-by dal quale non riesco ad uscire. Il mio amante dice di volermi bene ma credo che mai si sognerebbe di impegnarsi in modo serio con me. Non ho la forza di troncare ma nemmeno quella di lasciare mio marito con il quale, in tutti questi anni ho costruito, con tanti sacrifici e fatica, una famiglia. Non è giusto né corretto quello che sto facendo e, anche se razionalmente sono perfettamente consapevole che ogni colpo di testa mi porterà soltanto alla rovina, non ho la forza di prendere in mano le redini della mia vita e dire basta a questa storia clandestina.
La prego mi aiuti perché davvero ci sto molto male. Grazie di cuore. / S.
Cara S.,
nel momento in cui la sua vita sembrava pienamente realizzata – un marito affezionato, due splendidi bambini, una casa su misura – ecco apparire, come talora avviene, il «demone del meriggio». Un’inquietudine strana, una voglia di cambiamento, il gusto della trasgressione, l’inconsapevole attesa della condanna e dell’espiazione, mettono a rischio, senza motivo, quanto di positivo è stato costruito con determinazione e fatica. Ed è proprio l’eccitazione della possibile rovina che rende l’adulterio un rapporto eccitante, coinvolgente, insostituibile, sino a trasformarsi in una forma di dipendenza. Uno stato d’animo, quello della donna che tradisce, descritto in modo impareggiabile da grandi scrittori, quali Tolstoj in Anna Karenina e Flaubert in Madame Bovary. La vicenda delle due protagoniste, entrambe suicide, si svolge sotto il segno dell’amore romantico, retto dal binomio amore-morte.
Temo, nel suo caso, non si tratti di amore, un termine spesso abusato, quanto del tentativo di sfuggire alla monotonia di una esistenza già risolta, prevista e prevedibile. La chiave di un comportamento che risulta incomprensibile persino a lei, si trova racchiusa nella frase: «ho tutto quello che dalla vita una persona potrebbe desiderare».
Siamo esseri di desiderio e la sazietà ci annoia. Mentre gli animali, appagati i bisogni essenziali, come bere, mangiare, dormire e accoppiarsi, si addormentano, noi diventiamo inquieti, ci agitiamo, cerchiamo nuovi oggetti e nuovi scopi. Sfuggiamo ogni conclusione in quanto evoca ciò che più temiamo: la nostra fine. Per evitare di cadere in questo tranello dovremmo alzare l’asticella dei valori, individuare obiettivi più alti rispetto a quelli raggiunti. Secondo Dante, Ulisse, simbolo della vita umana, non si limita a tornare a casa, come racconta Omero. Giunto a Itaca, abbraccia i suoi cari, ristabilisce legalità e giustizia, e riparte. Anziché riposare le stanche membra sul grande letto matrimoniale e insediarsi sul riacquistato trono, si rimette in viaggio. E, dispiegate le vele, affronta il mare aperto sino a oltrepassare le Colonne d’Ercole e inoltrarsi verso l’ignoto. Dante commenta questo famosissimo passo con l’ammonizione: «Considerate la vostra semenza, fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza».
Nell’inganno che lei sta vivendo, la «virtute» è offesa dal disinteresse nei confronti della sua famiglia, in particolare dei figli che hanno più che mai bisogno di aver accanto una mamma attenta e partecipe. Aggiungerei anche il danno che, rendendosi complice del suo amante, arreca alla di lui fidanzata, indubbiamente trascurata e umiliata. Quanto alla conoscenza, il suo sguardo, polarizzato sulla relazione clandestina, sulla volontà di mantenere il segreto, non si volge certo ad ammirare il mondo né a comprendere e aiutare gli altri. In fondo, concentrandosi su se stessa, appaga il suo narcisismo ed evita di interrogarsi sul senso della vita, la domanda radicale che ci rende umani.
Forse m’illudo ma ritengo che la sua lettera segni una svolta e inauguri una nuova narrazione della sua esistenza. La primavera invita alla rinascita e confido che lei, per quanto fragile e stanca, trovi in sé la forza e il coraggio di ricominciare.