È l’alba di una nuova era a Palazzo federale. Con il trionfo ecologista, l’avanzata di donne e giovani, le perdite di tutti i partiti di governo ma soprattutto l’indebolimento dei poli di destra e sinistra (UDC e PS), le elezioni federali del 20 ottobre segnano un punto di svolta (per i dettagli, Marzio Rigonalli a pagina 34). Chi ritiene che l’onda verde si esaurirà quando verrà meno l’effetto Greta non considera a sufficienza che alla base del risultato delle elezioni federali c’è un movimento tettonico che investe una vasta parte della società, oggi più sensibile ai temi ecologici e aperta a cambiamenti sociali. Un’analisi pubblicata in settembre dalla «Neue Zürcher Zeitung» sulle posizioni socio-politiche di tutti i candidati alle Federali lo aveva evidenziato, l’analisi delle posizioni degli eletti lo conferma: in molti temi di valenza sociale anche i candidati del centro e persino della destra si sono spostati verso sinistra, a favore di un’apertura social-liberale (per esempio sul diritto all’adozione per le coppie omosessuali, la liberalizzazione della canapa, il sostegno ad una tassa sul CO2, il voto agli stranieri).
Balza quindi subito all’occhio che la composizione partitica del Consiglio federale non corrisponde più alle forze presenti in parlamento, i quattro partiti di governo rappresentano oggi solo il 70 per cento dell’elettorato. Logico che dovesse risuonare la rivendicazione di un posto in Consiglio federale per i Verdi, anche in considerazione del fatto che con i Verdi liberali l’area ecologista è ancora più ampia. E giusto sarebbe che i Verdi ci tentassero, in dicembre, per misurare quali alleanze possono crearsi alle Camere. Tuttavia, la stessa presidente Regula Rytz, pur sottolineando che la composizione del governo non rispecchia più il paese, non sembra per ora andar al di là di una rivendicazione piuttosto tiepida. In effetti, per il bene della stabilità politica svizzera è importante che i Verdi (e i Verdi liberali) confermino il risultato alle prossime elezioni federali e nel frattempo in quelle cantonali. Ad ascoltare politici e commentatori, i Verdi dovrebbero giusto armarsi ancora un po’ di pazienza. Ma al più tardi fra quattro anni i partiti dovranno trovare un’alternativa alla «Formula magica» di governo. Se oggi i tre maggiori partiti di governo hanno 2 seggi ciascuno e il quarto uno solo, questa formula non funziona più di fronte all’evidenza che fra Verdi, PS, PLR e PPD ci sono oggi meno di 6 punti percentuali (eppure PS e PLR hanno due seggi, il PPD uno e i Verdi nessuno). Se è vero che al PLR potrebbe essere tolto un seggio (e qui sarebbe Ignazio Cassis a pagarne le spese), è altrettanto vero che non si giustificherebbero due seggi per il PS se la distanza fra questi due partiti è di soli 1,3 punti percentuali. Un’alternativa sarebbe di fare entrare in Consiglio federale i Verdi ma anche i Verdi liberali e togliere un seggio sia al PS sia al PLR. Se ne riparlerà.
E ora, come lavorerà il Parlamento? Vista la frammentazione politica, è auspicabile che le forze politiche, in primis i vincitori delle elezioni, diano prova di una volontà e di una capacità di formare ampie alleanze tematiche. Questo faciliterebbe il dialogo fra le due Camere e permetterebbe di trovare delle maggioranze anche in votazione popolare. Essendosi indeboliti i partiti più polarizzanti (UDC e PS), c’è la possibilità di ritrovare una maggiore concordanza; anche se i Verdi sono posizionati a sinistra, hanno spesso dimostrato di essere aperti a compromessi. Se la vittoria ecologista porterà a riforme concrete e condivise, fra quattro anni se ne raccoglieranno i frutti, e si spalancheranno anche le porte del Consiglio federale.