Una generazione di coraggiosi

/ 17.09.2018
di Alessandro Zanoli

«Siamo una generazione abituata ad andare in giro con il curriculum nella borsa, lo so, e a cercare di sfruttare ogni occasione per trovare un lavoro. Ma che fatica. Alla fine non si sente mai la terra solida sotto i piedi». La ragazza che si lascia andare a questa confidenza gira il viso di lato, un po’ per nascondere un inizio di lacrima. Poi quando torna a mostrare gli occhi ha già ripreso il suo abituale sguardo deciso e determinato. 

Siamo noi che, a questo punto, abbiamo un po’ voglia di evitarlo, quello sguardo, e di svicolare dalla situazione. Viene sul serio da pensare a che cosa abbiamo sbagliato, al perché le cose non sono andate come abbiamo sempre immaginato. Per noi, ragazzi di una generazione cresciuta nel periodo del boom economico, le porte del mondo del lavoro erano più che aperte, erano spalancate. C’era talmente bisogno di mano d’opera che molti erano stati risucchiati verso posizioni di prestigio senza nemmeno aver terminato gli studi. 

Mitico il ricordo del nostro professore di matematica, assunto al Liceo dopo pochi semestri di Università. O l’invidia con cui si guardavano compagni di scuola che avevano trovato prestissimo spazio negli organi di informazione, nelle banche, nelle assicurazioni, saltando a grandi passi gli scalini della gavetta e garantendosi stipendi di tutto rispetto. Abbiamo avuto la fortuna di crescere in una realtà che ci aspettava a braccia aperte, che aveva bisogno di noi. A ripensarci oggi ci si sente davvero favoriti, rendendoci conto di aver potuto cavalcare un’onda lunga che nessuno prima di noi aveva potuto sfruttare e nessuno dopo di noi, verosimilmente, potrà rivivere, almeno alle nostre latitudini.

Oggi, nei racconti dei giovani in cerca di lavoro scopriamo (con una sorpresa un po’ ingenua) che non è più così. Ed è difficile evitare il sentimento di delusione per come sono andate le cose. È stata un po’ anche colpa nostra? Sicuramente no. Il mondo sembra avere preso una piega imprevista a tutti. Le dinamiche sociali ed economiche di fine millennio potevano difficilmente essere previste (oppure no?). La rivoluzione tecnologica, il crollo delle ideologie, l’espansione economica incredibile delle nazioni orientali ha stravolto un quadro che ci sembrava intoccabile, eterno, solo perché favorevole. Col senno di poi, le aspettative ingenue di progresso, persino gli ideali ottimisti un po’ sessantottardi che tutti noi abbiamo sottoscritto in qualche modo, si fondavano su un desiderio di cambiare il mondo molto superficiale, poco lungimirante. 

A rimanere invece lucidi e determinati, invece, sembrano proprio loro, i nostri figli che non trovano lavoro. Hanno sviluppato una forte personalità, nonostante tutto e magari nonostante noi, e non rincorrono la sicurezza del posto fisso. Nemmeno della relazione fissa, del resto. O della residenza fissa. «Forse partirò per l’Olanda, dicono che ci sono ottime possibilità per me, lassù» conclude la nostra giovane amica. E di nuovo negli occhi le brilla un goccia di delusione, subito temprata però da un bel sorriso di sfida. Non le passa nemmeno un attimo per la testa che l’orologio della storia stia scorrendo all’indietro. Non prova il destabilizzante senso di vuoto dato dall’idea di dover emigrare, come già i suoi antenati si erano trovati a fare. Emigrare: un destino che per la nostra generazione era quasi escluso, è tornato ad essere un’opzione plausibile, una speranza. Il coraggio di questi ragazzi, alla fine serve persino per lenire il nostro disagio: sono loro, bravissimi, a dare conforto a noi, per un mondo che non è più come prima.