La robotizzazione dei processi produttivi, intesa come l’attribuzione di attività di lavoro ai robot, è una delle tendenze che maggiormente preoccupano l’uomo della strada. Si dice che, nel giro di un paio di decenni, anche in Svizzera potrebbero andar persi per effetto di questa tendenza centinaia di migliaia di posti di lavoro. Seguiamo sempre con attenzione le ricerche che vengono fatte in questo campo. I risultati delle stesse, come abbiamo già avuto modo di sottolineare altrove, sono spesso contradditori. In particolare non esiste, per il momento, unanimità tra i ricercatori sull’effetto netto della robotizzazione. Non si sa insomma quale sarà il saldo tra i posti di lavoro che la robotizzazione farà sparire e quelli che, invece, creerà. Né c’è molta convergenza nelle previsioni sul tipo di posti di lavoro che potrebbero essere eliminati, oppure creati, dall’incremento del numero di robot attivi nella nostra economia. Se sul futuro della robotizzazione le previsioni sono ancora incerte, sul presente ci si può invece pronunciare con qualche sicurezza. È quello che fa la Banca mondiale, in un recente rapporto, che esamina l’evoluzione del processo di robotizzazione negli anni più recenti. Dallo stesso si desume che, fino al 2019, la popolazione di robot in attività, a livello mondiale, raggiungerà i 2.6 milioni di unità. Per avere un’idea dell’importanza di questa popolazione, occorre metterla in relazione con l’effettivo degli addetti nel settore industriale.
Ovviamente questo rapporto, che lo studio definisce come la «densità di robot», varia da un paese all’altro. Nelle economie nelle quali la densità in questione è più elevata, ossia in Corea del sud, Singapore e Germania, troviamo tassi che variano tra il 3 e il 6%. Non si tratta ancora di valori elevati, tuttavia la robotizzazione dei processi di produzione in queste economie ha già assunto una certa importanza. Quanto alla questione dell’effetto complessivo sull’occupazione la risposta degli esperti della Banca mondiale è che esso varia da una nazione all’altra. Negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Australia, nei rami di produzione delle macchine, sono stati persi molti posti di lavoro, in Europa e nelle economie emergenti, invece, sembrerebbe che il saldo in materia di occupazione sia stato, sin qui, positivo. Quanto poi a sapere perché nei paesi anglosassoni l’effetto di sostituzione di lavoratori con robot sia stato maggiore che in Europa o nelle economia emergenti, la risposta degli esperti è abbastanza sorprendente. Probabilmente la robotizzazione ha inciso meno sull’occupazione nei paesi europei perché i lavoratori di questi paesi dispongono di una maggiore protezione sociale, di una migliore formazione scolastica e di migliori possibilità di riconversione che quelli dei paesi anglosassoni. Queste affermazioni sono interessanti ma devono essere prese con le pinze. Il problema di questo rapporto è che i suoi autori hanno voluto offrire un’immagine globale di quanto sta succedendo a livello mondiale. Ma, a livello mondiale, le statistiche disponibili e comparabili sono poche.
Di fatto l’effetto della robotizzazione sull’occupazione nel settore industriale è stato misurato solamente con l’importanza della diminuzione della quota dell’occupazione industriale nel totale dell’occupazione delle singole economie nazionali. Sembrerebbe che questa diminuzione, a livello mondiale, sia praticamente attribuibile solamente alla diminuzione realizzatasi nelle tre economie anglosassoni citate qui sopra. Nel resto delle economie del mondo, invece, la quota del settore industriale nell’occupazione sarebbe rimasta più o meno costante nel corso dell’ultimo quarto di secolo. Che la diminuzione della quota dell’occupazione nel settore industriale, registrata nei paesi anglosassoni, sia da attribuire esclusivamente all’invadenza dei robot resta però ancora da dimostrare. La sostituzione dei lavoratori dell’industria in questi paesi potrebbe infatti essere dovuta allo spostamento di aziende in altri paesi del globo con salari più bassi. A nostro avviso, per ora, i robot ancora non hanno avuto un impatto significativo sull’evoluzione dell’occupazione, né nel settore industriale in complesso, né nei rami delle macchine e degli apparecchi, settori che maggiormente tendono a far ricorso ai robot. Il rapporto della Banca mondiale è certamente interessante, ma non dovrebbe turbare i sonni a nessuno.