Manca ancora un anno e mezzo alle elezioni federali, ma si respira già aria di campagna. I partiti valutano gli esiti delle elezioni tenutesi nei cantoni dall’inizio della legislatura federale e le fortune politiche dei propri candidati e deputati, per affinare le strategie elettorali. Nasce spontanea la domanda se la svolta a destra che c’è stata al Nazionale nel 2015 verrà confermata, nell’ottobre 2019.
A dire il vero, al di là di alcuni accenti, non è mutato molto con questa svolta a destra. La dimostrazione più tangibile – ma in questo caso sul piano popolare – è stata il no alla revisione dell’AVS, combattuta da PLR e UDC (oltre che da una parte della sinistra). Per contro, non si può definire di destra la revisione della legge sull’energia, approvata da parlamento e cittadini. Un Consiglio agli Stati con altri equilibri politici e il voto popolore fungono ancora da argine alle tendenze che si manifestano al Nazionale.
E poi, in questi mesi si pensa soprattutto alle sorti dei partiti – perché alcuni, di importanza storica, sono messi maluccio. Ne ha già scritto Marzio Rigonalli sull’ultima edizione: il PPD preoccupa seriamente. Per motivi diversi, sia in Ticino sia a livello federale. Da decenni perde un pezzettino alla volta, in tutti i cantoni, anche nelle sue roccaforti della Svizzera centrale e nel Vallese. Ora, le sconfitte in quasi tutte le elezioni cantonali in questi due anni e mezzo e i sondaggi indicano che potrebbe scivolare sotto il 10 per cento alle prossime elezioni federali. Doris Leuthard ha annunciato che si ritirerà prima della fine del 2019, desideroso di succederle è il presidente del partito Gerhard Pfister, ma se dovesse essere eletto in governo a campagna elettorale avviata, chi la gestirebbe, considerato che se n’è andata anche la segretaria generale Béatrice Wertli? È un momento delicato per questo partito, pur quasi sempre decisivo nelle decisioni politiche: nelle realtà urbane è schiacciato dalle forze rosso-verdi (a Zurigo è fuori dal municipio e dal consiglio comunale), nei cantoni primitivi è scalzato dall’UDC, negli agglomerati è ininfluente...
Poi c’è l’UDC, che, un po’ a sorpresa, dopo aver sfiorato il 30 per cento di consensi nel 2015, oggi si mostra fiacca. La campagna e le piccole città zurighesi sono la patria dell’UDC blocheriana, è da qui che è partita la conquista del partito nazionale e poi dell’elettorato nazional-popolare. È da considerare quindi un segnale tutt’altro che incoraggiante il fatto che a Opfikon, Adliswil, Kloten, Uster, Effretikon, Wädenswil e in modo accentuato a Winterthur e Zurigo il partito abbia ultimamente perso seggi nei consigli comunali e poltrone nei municipi. Sono mancati i temi forti? È possibile, ma il partito conosce anche un problema generazionale, i politici della prima ora sono ormai anziani e fra i giovani non tutti hanno la carica che ha contraddistinto la prima generazione blocheriana.
Chi invece mostra una salute discreta sono il Partito socialista e il Partito liberale radicale. Dalle elezioni cantonali escono perlopiù vincenti, i sondaggi li danno in moderata crescita, entrambi sentono il vento in poppa. Tuttavia, il PLR deve ancora radicare la sua crescita in una politica che sappia interpretare i bisogni e i temi vitali di un ceto medio moderno e urbano. E il PS rendersi conto che se vuole contare di più a Palazzo federale deve forse guardare di più all’esempio che viene da molte grandi città svizzero tedesche e romande, in cui governano – pragmaticamente e poco ideologicamente – delle maggioranze rosso-verdi.
Qualche risposta sulle tendenze politiche di fondo, le elezioni federali dell’anno prossimo ce la forniranno.