Un selfie con Soldati o con Pavese?

/ 03.06.2019
di Bruno Gambarotta

Quest’anno il Salone del Libro di Torino è stato anche il Salone degli anniversari. Che a me, lettore adolescente di Plutarco, ha fatto tornare la voglia di immaginare le Vite Parallele del nostro tempo, prime fra tutte quelle dedicate a Primo Levi e a Fausto Coppi, ricordati al Salone in quanto accomunati dal centenario della nascita. Altra ricorrenza, i 20 anni dalla morte di Mario Soldati. Qui la tentazione irresistibile consiste nell’abbinare la sua vita a quella di Cesare Pavese. Non erano gemelli, Soldati nato a Torino il 17 novembre 1906, Pavese a Santo Stefano Belbo il 9 settembre 1908. Due scrittori torinesi che non potevano essere più diversi anche per la durata delle rispettive loro vite, per Pavese 42 anni, per Soldati quasi 93, più del doppio. Soldati dinamico e imprevedibile, meditativo e bizzoso, mutevole e fluido, tentato dalla dissipazione dei suoi tanti talenti, instancabile esploratore delle vite altrui.

Pavese, teso alla costruzione del suo profilo di scrittore, quasi fosse consapevole del tragico destino che lo attendeva. Allestire un epistolario completo di Soldati è impresa impossibile, Pavese fin da ragazzo compilava il suo copia lettere, dove trovava posto anche una semplice cartolina, «saluti da Brancaleone Calabro». Soldati, dopo la laurea con Lionello Venturi, va negli Stati Uniti con una borsa di studio per insegnare storia dell’arte, conosce Marion Rieckelman e la sposa nel santuario di Oropa dalle parti di Biella il 18 maggio del 1931. Quando lei e i loro tre figli torneranno in America, Soldati avrà una seconda compagna, Jucci, la ragazza di Fiume, che potrà sposare solo quando entrerà in vigore in Italia la legge che consente il divorzio e i tre figli nati dalla loro unione saranno già diventati grandi.

Soldati abiterà molte case, a Torino, Roma, Milano e infine a Tellaro, sul golfo di La Spezia. Pavese non avrà mai un suo appartamento, vivrà sempre a casa della sorella, del cognato e delle loro due figlie. Ne uscirà solo per andare all’albergo Roma, di fronte alla stazione di Porta Nuova, per prendere una stanza e suicidarsi con i sonniferi. Soldati è stato un viaggiatore instancabile, Pavese non attraverserà mai un confine, non salirà mai su un aereo, di sua iniziativa arriverà solo fino a Roma e sarà costretto a spingersi fino in Calabria per scontare la condanna al confino che gli è stata inflitta dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato per attività antifascista. Svolta non per scelta ma per assecondare la richiesta di un’amica, «la donna dalla voce roca», militante comunista, che gli aveva chiesto di conservare un plico di stampa clandestina. Soldati è stato un infaticabile giornalista per molte testate e su svariati argomenti, Pavese ha collaborato per dovere alle pagine torinesi de «l’Unità» solo nell’immediato dopoguerra.

Soldati è stato cultore e cantore del cibo e del vino, ha realizzato, nei primi anni della televisione italiana, quello straordinario Viaggio nella Valle del Po alla ricerca dei cibi genuini. Pavese, secondo la testimonianza di chi l’ha conosciuto, non faceva neanche caso a quello che aveva nel piatto e beveva solo vino bianco, il rosso gli ricordava il sangue. La vita di Soldati è costellata di amicizie, alcune nate sui banchi di scuola e durate fino alla morte, Pavese ha avuto un solo vero amico, Nuto, il falegname di Santo Stefano Belbo, uno dei protagonisti de La luna e i falò. Soldati è bizzoso, umorale, talvolta luciferino, sempre al centro della scena, Pavese, così come lo racconta Natalia Ginzburg, quando era in compagnia sedeva appartato capace di stare tutta la sera in silenzio a fumare la pipa. Soldati si reca in visita alla troupe che sta lavorando in un paese del Piemonte alle riprese dei suoi Racconti del maresciallo.

Per la pausa pranzo vuole portare tutti a mangiare in un ristorante conosciuto per una particolare specialità, che prevede una elaborata preparazione. Quel giorno feriale, prevedendo pochi avventori a differenza della folla del fine settimana, quel piatto non è nel menù. Soldati si infuria, esce sulla piazza per recarsi in un negozio di commestibili, battendo col bastone sulla serranda già abbassata si fa riaprire, compra una scatola di tonno, torna al ristorante la apre e ne mangia il contenuto direttamente dalla scatola. Di simili aneddoti su Soldati potremmo riempire un libro. Immaginiamoli in questo Salone. Soldati, sulfureo, umorale, imprevedibile, bersaglio perfetto per i selfie. Con il sigaro spento in bocca, non smette di prendere appunti, rubando la vita e le storie dei suoi interlocutori per infilarle nel romanzo che sta scrivendo in quel momento. Pavese, spaventato dall’assalto dei fan, nega di essere lui e corre a nascondersi nel ripostiglio delle scope.

Soldati avrebbe tutti i titoli per guadagnare la nostra preferenza ma noi, vecchi adolescenti, continuiamo a preferirgli Pavese, timido, sfuggente, ombroso, con il suo tragico senso del dovere. E pazienza se non riusciremo a farci un selfie con lui.