Un primo agosto in onore dell’Avs

/ 23.07.2018
di Orazio Martinetti

Partito il tifoso, è tornato il patriota. Battuta nel calcio, la Svizzera rimane saldamente ancorata ai suoi princìpi repubblicani, con un occhio all’imminente Natale della Patria. Per questo la bandiera rossocrociata è rimasta a garrire sui balconi, a ribadire una fedeltà che nessuna sconfitta sportiva potrà mai scalfire. Il pallone passa, l’amor patrio resta.

Il primo agosto è il giorno delle «allocuzioni». Per la fausta occasione i politici salgono sul podio per ricordare alla cittadinanza come nacque la Confederazione. Quest’anno, c’è da scommetterci, molti metteranno l’accento sul fattore «sovranità», appoggiandosi al celebre passaggio del Patto del 1291, là dove si dice che «ognuno deve pure obbedire al suo giudice e, se necessario, indicare quale sia nella valle il giudice sotto la cui giurisdizione egli si trova». Facile e immediato l’aggancio con l’iniziativa per l’autodeterminazione («il diritto svizzero anziché giudici stranieri») in votazione il prossimo 25 novembre.

La pergamena del 1291, redatta in latino, è considerata la pietra angolare della Confederazione. A quest’atto fondativo si fa risalire la «nascita della Svizzera». In realtà fino al Settecento faceva stato un altro documento, datato 1307 e registrato dallo storico glaronese Aegidius Tschudi nella sua opera del XVI secolo Chronicon Helveticum. L’autore l’aveva associata, ma senza apportare prove documentali, alle imprese di Tell e al giuramento sul Grütli. Una data cara soprattutto agli urani: infatti il monumento dedicato all’eroe nazionale ed eretto sulla piazza di Altdorf nel 1895 (nella foto Keystone) reca inciso sullo zoccolo l’anno 1307 e non il 1291.

La storia pullula d’incongruenze e quella svizzera non fa eccezione. Sull’autenticità della pergamena del 1291 storici, archivisti e scienziati dei materiali ancora litigano. Tutti invece concordano sulla non-eccezionalità dello scritto, dato che nel Medioevo questi patti, frutto di alleanze difensive, erano numerosi, sia nelle città che nelle campagne. Il concetto di «libertà» riguardava le comunità, non certo la singola persona: è solo dopo la Rivoluzione francese che si inizia a porre al centro l’individuo, il cittadino con i suoi diritti e doveri. Non è quindi corretto tracciare una linea continua tra il 1291 e i nostri giorni, come se nel campo della democrazia, delle istituzioni, dei sistemi giuridici e costituzionali non fossero intervenuti mutamenti sostanziali.

Uno di questi si produsse nel 1848, con il varo della nuova Costituzione, sigillo di una ritrovata unità tra ventidue cantoni dopo la guerra civile (detta del «Sonderbund») del 1847. Con quella carta, approvata il 12 settembre, vedeva dunque la luce la «Svizzera moderna», una federazione d’ispirazione radicale che garantiva a tutti gli svizzeri l’uguaglianza dinanzi alla legge: «nella Svizzera non vi ha sudditanza di sorta, non privilegio di luogo, di nascita, di famiglia o di persona».

Sarebbe dunque più opportuno festeggiare il 1848 anziché il 1291? La proposta è stata avanzata più volte negli ultimi anni. A prima vista potrebbe funzionare, dato che la carta parla di «unità, forza e onore della Nazione Svizzera». Di fatto bisognerebbe dimenticare o sottacere che quella Costituzione nasceva da un dissidio intestino segnato da profonde divisioni religiose (cattolici/protestanti) e che apriva la porta alla lunga stagione del radicalismo («Freisinn»), un regime monocolore le cui ambizioni egemoniche iniziarono a declinare soltanto verso la fine dell’Ottocento, a fronte delle resistenze prima dei cattolici e poi dei socialisti.

Pare arduo, insomma, scovare una data che possa mettere d’accordo tutti, i fondatori («paesi forestali») con territori assoggettati per secoli (tra cui il Ticino), i vincitori della guerra del Sonderbund con gli sconfitti.

A dir la verità una ricorrenza in grado di raccogliere un largo consenso ci sarebbe: il 1948, anno in cui entra in vigore l’Assicurazione vecchiaia e superstiti, la benemerita Avs, approvata l’anno prima con percentuali altissime: 80% di sì sul piano nazionale, addirittura il 90,6% in Ticino. Un’adesione corale che introduceva anche in Svizzera l’architettura del «welfare», le cui basi erano già state poste nel periodo interbellico.

Certo è quasi impossibile combattere i miti sedimentati nei secoli: il 1291, con le suggestioni che trasmette, l’aura che l’avvolge, le emozioni che accende, appare irremovibile dall’inconscio collettivo. Tuttavia l’Avs rimane una colonna della nostra legislazione sociale, un’istituzione che ha impedito, e tuttora impedisce, a molte famiglie di cadere nello stato d’indigenza. Il paese saprebbe oggi darsi un meccanismo analogo? L’interrogativo è lecito, visti i tempi che corrono, non certo propizi alla riforma e al rilancio dell’edificio sociale.