Ai lettori non sarà sfuggito che, nel corso degli ultimi due anni, la situazione finanziaria degli enti pubblici svizzeri è migliorata di molto. Da quegli zeri rosso o neri dei bilanci di qualche anno fa si è passati ad eccedenze di milioni, se non addirittura di miliardi. Se si vanno a cercare le ragioni di questo miglioramento si sentono di solito suonare tre campane.
La prima, quella dei teorici della finanza pubblica, insiste sul carattere ciclico dei risultati di bilancio dovuto ai diversi tipi di freno alle spese introdotte da Confederazione e Cantoni, ma anche al fatto che le leggi finanziarie prevedono che, nel medio termine, i deficit devono essere eliminati. Dopo di che i teorici si accapigliano per trovare una definizione accettabile del medio termine. Di solito, quando è specificato nella rispettiva legge finanziaria, il medio termine è un periodo di 4 o 5 anni. Quel che è certo è che queste misure, dopo qualche anno di deficit, magari anche mostruosi, fanno tornare i conti in pareggio e producono addirittura eccedenze consistenti.
La seconda campana è quella del contenimento della spesa. Qui ad aiutare le autorità cantonali e federali non sono stati tanto i programmi di risparmio quanto l’introduzione, a partire dal 2015, degli interessi negativi. Interessi negativi significa che se fai un debito oggi ricevi praticamente il credito corrispondente gratis. Siccome nei Cantoni più spendaccioni non era infrequente che il carico degli interessi passivi superasse il 5, quando non addirittura il 10% del totale della spesa, l’alleggerimento consentito dai tassi di interesse negativi non è certo da considerare come un fattore trascurabile nella riconquista dell’equilibrio di bilancio.
La terza campana si interessa a quanto è successo dal lato delle entrate. Si danno un bel daffare i nostri ministri delle finanze per relativizzare il peso delle sopravvenienze di questi ultimi anni, ma le cifre sono lì per testimoniare che anche l’aumento dei ricavi, in particolare dei ricavi fiscali, li ha aiutati a ritrovare il cammino delle eccedenze. E a gonfiare i ricavi fiscali sono venute le entrate straordinarie dovute agli evasori pentiti che, in seguito all’amnistia «light» introdotta nove anni fa, si sono autodenunciati, dichiarando le sostanze, che detenevano all’estero, e che fino ad allora avevano nascosto al fisco.
Chi sono questi evasori? La maggioranza di loro sono persone residenti in Svizzera ma di origine straniera: italiani, portoghesi e spagnoli che possiedono nei loro paesi d’origine conti bancari o proprietà immobiliari non dichiarate. Quanti sono questi evasori? Per l’intero periodo di amnistia dovrebbero essere tra i 100’000 e i 150’000, vale a dire una percentuale relativamente poco importante della popolazione di contribuenti del nostro paese. Anche le fortune nascoste dichiarate dalla maggioranza di questi pentiti non sono rilevanti. Questo è almeno l’avviso della «Neue Zürcher Zeitung» che, recentemente, ha dedicato un lungo articolo a questo problema.
Tuttavia la somma di tante piccole fortune ha portato al fisco un incasso supplementare che si lascia citare: quasi 4 miliardi di imposte supplementari in 9 anni per l’intera Svizzera. Di conseguenza anche il fisco ticinese qualche decina di milioni in più li avrà incassati, grazie a questa amnistia fiscale. Se guardiamo infatti alla classifica dei Cantoni per numero di evasori confessi troviamo al primo posto, e non è una sorpresa, le due maggiori piazze finanziarie, ossia Zurigo e Ginevra. Poi vengono il Vallese e Berna e, al quinto posto, il Ticino. L’articolo della NZZ termina segnalando che l’evasione fiscale, che, ancora un decennio fa, veniva considerata, da noi, come una trasgressione perdonabile, viene ora considerata come un delitto. Ma, aggiunge il giornalista, non è quasi mai la cattiva coscienza che porta l’evasore a dichiarare le sostanze nascoste. Molte volte è la sua banca, preoccupata di detenere solo denaro pulito, che fa pressione perché lo faccia.