Cinquanta milioni di persone chiuse in casa, megalopoli come Wuhan in quarantena, le strade vuote, altrove nel paese milioni di persone che escono solo con una mascherina, e quando si sospetta un caso di infezione da coronavirus ecco infermieri che sembrano astronauti alle prese con un nemico spaziale invisibile. La paura di una pandemia, o comunque di un’epidemia che metta ancora una volta in cattiva luce le autorità, come fu il caso con la SARS nel 2002-2003, ha spinto il governo centrale di Pechino a imporre misure drastiche e spettacolari – anche se a livello locale la diffusione del virus è ancora una volta dapprima stata taciuta, perciò facilitata. E ciò nonostante in questi giorni cadessero le festività per il Capodanno cinese, le più sentite e occasione del ricongiungimento annuale con la famiglia, o per un viaggio all’estero.
L’impatto economico del nCoV-2019 si farà sentire (ne scrive Rampini a pagina 29), anche se attualmente non sappiamo neppure quanto esponenziale sarà ancora la crescita del numero dei casi, considerato che il coronavirus è già arrivato in Occidente. In una fase iniziale di un’epidemia è facile che alcune certezze vengano smentite in breve tempo e che i pareri degli esperti divergano. Secondo taluni, per un contagio occorre un contatto frequente con una persona infetta a meno di un metro di distanza, secondo altri basta molto meno. Per intanto, mitiga in parte i timori il fatto che fin qui il tasso di mortalità è di 3 decessi ogni 100 pazienti, una via di mezzo fra una classica ondata di influenza e la SARS. Tuttavia, i virus hanno la capacità di mutare geneticamente mentre si replicano, restano quindi un’incognita. La settimana che si apre oggi sarà importante per capire l’estensione e il tenore dell’epidemia, e quanto saranno toccati altri paesi, asiatici e del resto del mondo.
Ma da dove spunta questa nuova forma di coronavirus? La tesi più diffusa è che abbia avuto origine in un mercato popolare di Wuhan, dove la promiscuità fra esseri umani e animali crea l’ambiente ideale per una trasmissione di un coronavirus (anche la SARS lo era) da animale a umano. Ma che questo sia avvenuto a Wuhan è in fin dei conti un caso «fortunato», poiché nell’Istituto di virologia di questa città lavorano scienziati che si sono fatti un nome nella ricerca sui virus: è la dottoressa Zheng-Li Shi e i suoi collaboratori che hanno identificato il nuovo ceppo, ed erano stati loro nel 2005 a provare che il virus della SARS era stato trasmesso da pipistrelli. Non solo: come riferisce David Quammen sul «New York Times», in un documento del 2017 la dottoressa Shi e i suoi hanno attestato di aver identificato un coronavirus identico al 96 per cento a quello odierno in quattro tipi di pipistrelli studiati in una caverna dello Yunnan. Il fatto di aver verificato che il tre per cento delle persone che abitano vicino alla caverna avesse sviluppato degli anticorpi a coronavirus imparentati con la SARS mostra che il passaggio di virus da animale a uomo non è così raro come sembrava in passato.
È certo che l’aumentata mobilità dell’era della globalizzazione rende molto più facile e rapido il contagio su scala planetaria, tuttavia per generare un pandemia ci vuole una combinazione di virus molto aggressivi, quindi molto contagiosi, e molto letali. Inoltre, sistemi sanitari più pronti di un tempo a far fronte a simili emergenze lasciano sperare che da questa parte del continente eurasiatico si possa dormire tranquilli. Il problema si pone più grave quando le epidemie scoppiano laddove la risposta giusta, sanitaria e politica, non c’è, così come a lungo è stato con l’Ebola in Africa.