C’è un merlo – suppongo sempre quello, visto che si ripresenta da anni – che ha scelto il comignolo di fronte al nostro balcone come torre di controllo per chissà quale suo nido. Ci parliamo, nel senso che, ormai istupidito dal suo cinguettio inarrestabile, anch’io provo a emularlo cercando di ripetere i suoi richiami o segnali. L’unica certezza che ricavo è che gli creo fastidio, sempre mi guarda e a volte ho l’impressione che mi stia dicendo di smetterla, che lui sta lavorando e non in panciolle sul terrazzo come me. Quel merlo mi ricorda un passato ormai remoto, quando anch’io mi ero creato una sorta di torre di controllo. Prima e per tanti anni al «Giornale del Popolo», poi anche su questo giornale, solo meno sovente. La torre mi serviva e la frequentavo quando avvertivo la necessità di attivare anche da noi, come nella vicina Italia, un po’ di critica per televisione e radio. Sulla torre non mi sentivo passero che «alla campagna cantando vai», ma come il merlo del comignolo, visto che anch’io ogni tanto dovevo far capire a chi mi richiamava, o mi consigliava di smetterla, che stavo solo lavorando, che la critica a chi stava in panciolle a Besso (poi a Comano) non era un vezzo o una mania, ma uno dei miei compiti professionali.
Ispiratori e maestri di questa mia attività? Diversi. All’inizio ero ammaliato dalla vena satirica di Achille Campanile («Quando un’azienda di Stato diventa monopolio di pochi personaggi, allora non c’è scampo»); poi irretito dai corsivi di Giorgio Saviane su l’Espresso («In tutte le reti televisive straniere, il bollettino meteorologico viene trasmesso anonimamente. In Italia, chi legge il bollettino, del giorno prima, rischia di diventare capo del governo»); infine sedotto dal lustro letterario di un Ennio Flaiano che «elzevireggiava» impareggiabile su «Il Mondo» e sul «Corriere della Sera» («Sono tornato nella nostra bella Italia dopo sei anni [...] Tutto mi sembra diventato più semplice con l’avvento dello Stato radiotelevisivo che sostituisce il vecchio “sistema”»). A suggerirmi di rivolgere una cinguettata alla RSI è giunta la splendida trasmissione dedicata alla Fête des Vignerons, trasmessa l’ultimo sabato di luglio da Vevey e magistralmente condotta da Alain Melchionda. Un intrattenimento serale da incorniciare, finalmente ancora un lavoro di vera televisione, cioè di stimolo allo spettatore a «vedere quel che capita lontano», come etimologicamente e idealmente dovrebbe sempre trasmettere il media elettronico. E non occorre valicare gli oceani, inseguire eventi, festival o navicelle spaziali: basta aprire le porte e essere in grado non soltanto di inquadrare e riportare, ma di «far vedere», cioè spiegare e aiutare a capire. Incommensurabile l’apporto di Daniele Finzi Pasca, meritevole di Oscar allo spettacolo per aver ancora una volta cesellato storia, leggende e tradizioni, per aver guidato migliaia di comparse a recitare, ballare, cantare, suonare; ma soprattutto per averci confortato (nel senso di ridare speranza) con una regia spettacolare in cui passato (miti e tradizioni) e futuro (nuove tecnologie) interagiscono per catturare fantasia, poesia e giocosità. A Vevey, regista (Enrico Lombardi) e conduttori hanno saputo ricavare una serata televisiva talmente riuscita da consentire alla televisione estiva di mostrarsi paradossalmente più viva e vera di quella «studiata» che, per intenderci meglio, viaggia sui binari solo durante il calendario scolastico. La stessa differenza l’avevo percepita l’estate scorsa con la perfetta regia dei mondiali di calcio in Russia e l’irruzione in tv di un «blitz notturno» purtroppo sempre in attesa di un bis. Pur dovendo ammettere lunghe latitanze, arrivo a collegare la medesima sensazione di televisione viva d’estate (qualche anno fa, una serata dedicata al 1. agosto) con una serie di incontri e proposte dall’Engadina anche quella volta con abilità giornalistica (da Davide Gagliardi, se non erro). E mi chiedo: è normale che simili serate oltre che rare siano anche in contrasto con l’«ordinaire de la maison», vale a dire con la sempre più scolastica (il riferimento non è alle ferie...) e «palinsestata» quotidianità televisiva?
Riecco il mio mantra: sto mandando cinguettii ormai sorpassati... Meglio lasciare la torre. Tanto più che ogni critica viene facilmente oscurata dall’alibi di una televisione che cambia, impegnata nella rivoluzione mediatica e obbligata a seguire mode e scelte dettate dai «social media trend». Però è dura dimenticare i vecchi maestri. Dicevano: non c’è scampo al monopolio di pochi personaggi…, chi legge il bollettino meteorologico in tv rischia di diventare capo del governo..., al posto della tv di Stato eccoci con lo Stato radiotelevisivo! Erano solo fantasie distorte di critici inaciditi, come sosteneva chi osteggiava e sviliva la critica televisiva, o premonizioni di un dramma in atto oggi non lontano da noi, e proprio grazie al «social media trend»?