Un grande grazie ai frontalieri!

/ 22.05.2017
di Angelo Rossi

Dapprima la notizia: Stando all’Istituto Créa dell’Università di Losanna, nei quindici anni tra il 2000 e il 2015, il Ticino si piazzerebbe al quarto posto tra le regioni Svizzere per quel che riguarda il tasso di crescita della loro economia. Siccome, per questo studio, la Svizzera è stata divisa in 7 regioni, occupare il quarto posto potrebbe anche sembrare una prestazione da poco. Più significativa diventa la stessa quando si apprende che l’aumento del Pil ticinese in questo periodo, pari al 30.4%, è superiore alla media nazionale (29.5%). Da quasi non credere è poi venire a conoscere che, in questa classifica, il Ticino si trova davanti a Zurigo, alla Svizzera orientale e a Berna-Soletta che, in materia di potenziale economico, in particolare per quel che riguarda la base industriale, sono da considerare come dei giganti.

A dire il vero per chi scrive questi dati non sono sorprendenti. Avevo già segnalato ai lettori (vedi «Azione» 3.4.2017) che l’economia ticinese era cresciuta con tassi superiori alla media nazionale tra il 2009 e il 2014, ossia nel periodo per i quali si dispone di stime ufficiali del Pil a livello dei Cantoni. La stima del Créa, ora, consente di estendere questa valutazione positiva a tutto il periodo che va dal 2000 al 2015, ossia al periodo della libera circolazione della manodopera. Qualcuno che conosce l’evoluzione di lungo termine dell’economia ticinese potrebbe obiettare. Ma non è poi un risultato così eccezionale. È vero. In tutto il periodo che ha seguito la seconda guerra mondiale l’economia ticinese ha conosciuto un tasso medio di crescita prossimo alla media nazionale. Ma fino agli anni Novanta dello scorso secolo questo risultato si otteneva grazie alla rilevante crescita della produttività per lavoratore, consentita dall’espansione del settore finanziario.

La crescita del Pil ticinese, tra il 2000 e il 2015, è invece eccezionale perché ottenuta in un periodo nel quale la produttività dei lavoratori  – per la ristrutturazione proprio del settore finanziario – non è aumentata o quasi. Il tasso di crescita del Pil di una determinata economia può essere considerato, in prima approssimazione, come la somma del tasso di crescita della produttività per lavoratore e del tasso di crescita dell’effettivo di occupati. Se accettiamo questa definizione, è evidente che quando la produttività per lavoratore ristagna, come è capitato nell’economia ticinese a partire dagli anni Novanta dello scorso secolo, il Pil può crescere solo in funzione del tasso di crescita dell’effettivo di occupati. A questo punto, siccome le statistiche sull’evoluzione dell’occupazione in Svizzera sono quel che sono, le conclusioni basate sul confronto tra i tassi di crescita del Pil e quelli dell’occupazione possono essere tratte solo con grande cautela.

Per il nostro confronto abbiamo utilizzato la statistica delle persone occupate che pubblica dati per trimestre. Dalla stessa rileviamo che in Ticino, tra il 2000 e il 2015, il numero delle persone occupate è aumentato del 28.3%. Questo significherebbe che più del 90% della crescita percentuale realizzata dall’economia ticinese in questo periodo sarebbe da attribuire alla crescita dell’occupazione. Tra il 2000 e il 2015 l’effettivo di occupati nell’economia ticinese è aumentato di 51’500 unità. Di queste 33’200 sono frontalieri. In altre parole quasi i due terzi dell’aumento dell’occupazione (64.5%) nel periodo considerato è da attribuire all’incremento conosciuto dall’effettivo dei frontalieri. Ma c’è di più: se i frontalieri avessero la medesima produttività dei lavoratori residenti si potrebbe addirittura concludere che il 60% della crescita del Pil ticinese, tra il 2000 e il 2015, lo si è conseguito per merito dei frontalieri. Scusate se è poco!

Questo risultato non diminuisce che di poco se invece di supporre che i frontalieri abbiano la medesima produttività dei lavoratori residenti attribuiamo loro una produttività inferiore, partendo dall’idea che la quota dei frontalieri è particolarmente elevata nei rami di produzione a bassa produttività. Per cercare di ridurre la quota da attribuire ai frontalieri nell’aumento del valore aggiunto dell’economia ticinese, durante il periodo nel quale si è applicata la libera circolazione della manodopera, si possono fare le congetture che si vogliono. È difficile che si arrivi a ottenere che questa quota diminuisca sotto il 50%. I ticinesi devono dunque più della metà della crescita realizzata dalla loro economia negli ultimi quindici anni all’aumento dell’effettivo di lavoratori frontalieri nella loro economia.

Con questo non vogliamo negare che l’aumento del contingente di frontalieri non abbia creato problemi, in particolare per quel che riguarda la flessibilizzazione del mercato del lavoro e il freno all’evoluzione dei salari. Non ci fosse però stato questo aumento a questi problemi avremmo dovuto aggiungere quelli di un’economia stagnante se non addirittura in perdita di velocità.