Un duello che cambierà la Spagna

/ 16.10.2017
di Peter Schiesser

Sarà una settimana esplosiva, questa in Spagna, con l’attivazione dell’articolo 155 della Costituzione, oppure da parte catalana il President Puigdemont farà marcia indietro, magari sospendendo a tempo indeterminato  la dichiarazione d’indipendenza proclamata l’11 ottobre?

Il governo di Mariano Rajoy, con il sostengo dei socialisti di Pedro Sanchez (PP e PSOE sono i due maggiori partiti), ha posto un doppio ultimatum a Carles Puigdemont: entro le 10 di stamane dovrà dire se la dichiarazione di indipendenza della Catalogna è confermata o meno, in caso di mancata risposta Madrid darà a Barcellona tempo fino alle 10 di giovedì 19 per farlo. Dopodiché la Catalogna verrebbe commissariata e alcuni servizi essenziali della Generalitat catalana controllati dal potere centrale; sarebbero inoltre indette nuove elezioni per il parlamento regionale. Teoricamente, Rajoy potrebbe persino far imprigionare Puigdemont, in virtù dell’articolo 155, ma una mossa del genere avrebbe conseguenze devastanti, creando un divario incolmabile fra la Catalogna e il resto della Spagna.

Il capo del governo catalano Puigdemont si è messo con le spalle al muro con la grottesca mossa di dichiarare l’indipendenza e di sospenderla pochi minuti dopo. A meno di non perdere la faccia, non può più accontentarsi di una maggiore autonomia per la Catalogna: il dado è tratto. Ora bisogna vedere chi vorrà seguirlo, capire quanto compatto è il fronte indipendentista. Il capo del governo spagnolo Rajoy, di concerto con il presidente socialista Sanchez, ha brandito il bastone ma anche la carota: verrà creata una commissione incaricata di rivedere la Costituzione spagnola per ampliare l’autonomia delle regioni. È una mano tesa a quei catalani che non si sentono rispettati nella loro diversità. Qualcuno potrebbe cogliere questo ramoscello d’ulivo, qualcun altro potrebbe accettarlo perché teme le conseguenze catastrofiche di una precipitosa indipendenza.

C’è senza dubbio un grosso senso di incertezza in Catalogna, oggi. Decine di imprese se ne sono già andate nei mesi precedenti il referendum del 1. ottobre, ma ora la fuga accelera, e se la terza banca spagnola, la Caixa, e prima di essa il Banco de Sabadell (quinto in Spagna e secondo in Catalogna) spostano le loro sedi, l’immagine di una Catalogna «regione economica di successo» subisce un duro colpo. Perché uscire dalla Spagna significa uscire anche dall’Unione europea, e banche ed aziende questo non possono permetterselo. Questo significa che Barcellona può restare forte e ricca solo se inserita nella rete di relazioni (economiche, istituzionali, culturali) che la legano alla Spagna e attraverso di essa al resto del mondo.

Ma saranno riflessioni razionali come queste a guidare i dirigenti e la popolazione catalani? Quando le passioni nazionaliste, da una parte e dall’altra, si trasformano in aperte manifestazioni di intolleranza e odio, è più difficile sperare in una soluzione negoziata e condivisa (vedi Lucio Caracciolo e Gabriele Lurati alle pagine 21 e 22). 

Comunque vada a finire, la partita ardita che Carles Puigdemont e le forze che lo sostengono stanno giocando, inciderà profondamente sulla storia della Spagna. Se il Presidente della Generalitat catalana è un politico che ama scherzare con il fuoco, sull’altro fronte abbiamo un primo ministro e un re che non hanno intenzione di riconoscere le pretese degli indipendentisti, ciò che ingarbuglia ancor di più la matassa. Nel 1981 re Juan Carlos unì il paese salvando la neonata democrazia spagnola opponendosi ai  militari golpisti, suo figlio Felipe non dimostra per ora la medesima stoffa.