Un colpo al cuore dell'Europa

/ 21.01.2019
di Aldo Cazzullo

L’assassinio del sindaco di Danzica Pawel Adamowicz è un colpo al cuore dell’Europa; e non solo perché era un europeista convinto, oppositore dell’ideologia nazionalista e sovranista che ha in Polonia l’esponente guida in Jaroslav Kacynsky. Sono in gioco gli assetti geopolitici dell’Europa centrale e orientale. È in gioco l’anima stessa dell’Unione europea.

Il delitto è maturato in un clima quasi da guerra civile. È vero, l’assassino è probabilmente uno squilibrato, che ha ucciso Adamowicz a colpi di pugnale davanti a migliaia di persone durante un concerto benefico. Ma questo non toglie nulla né alla gravità del delitto, né alla potenza simbolica del gesto, commesso dentro la città entrata nella storia come il pretesto scelto da Hitler per scatenare la Seconda guerra mondiale.

Anche il sindaco Adamowicz era un simbolo. Difendeva le minoranze, combatteva xenofobia e antisemitismo, apriva ai migranti Danzica città rifugio: «Sono europeo, per natura aperto – ripeteva –. Danzica è un porto, deve sempre essere un rifugio per chi arriva dal mare». «Facile dirlo se ci si affaccia sul Mar Baltico» ha commentato in Italia un anonimo blogger sovranista. Però il sindaco ha pagato con la vita le sue idee contrarie allo spirito del tempo dominante nel suo Paese e nel resto d’Europa. I contestatori lo definivano un promotore di «idee degenerate» che fiaccavano lo spirito patriottico. Rispuntano ora provocatori «avvisi di morte» indirizzati a esponenti liberali da gruppi di ultradestra come la «Gioventù della grande Polonia».

Viene in mente Jo Cox, la deputata laburista inglese che si batteva contro la Brexit, affinché i giovani polacchi, italiani, spagnoli potessero continuare ad andare liberamente nel Regno Unito per studiare o lavorare. Un estremista pro-Brexit l’ha uccisa a coltellate e ha preso a calci il suo corpo. Quel sacrificio non ha cambiato il verdetto, ma ha contribuito a salvare l’anima dell’Europa; e l’Europa ha molto bisogno di un’anima.

In Italia i sovranisti cercano il dialogo con i Paesi di Visegrad. Un nome che ha una storia da raccontare. Il gruppo trae le sue origini dalla riunione dei leader dell’allora Cecoslovacchia, della Polonia e dell’Ungheria tenutasi nel castello-città ungherese di Visegrad il 15 febbraio 1991. Il luogo fu scelto per evocare il Congresso medioevale di Visegrad nel 1335 tra Casimiro III di Polonia, Giovanni I di Boemia e Carlo I d’Ungheria. Dopo lo scioglimento della Cecoslovacchia nel 1993, la Repubblica Ceca e la Slovacchia divennero membri indipendenti del gruppo, aumentando così il numero di membri da tre a quattro. Tutti i Paesi di Visegrad sono entrati nel’Unione europea il primo maggio 2004, ai tempi dell’allargamento voluto da Romano Prodi.

Si era molto lontani dall’elaborazione dell’ideologia sovranista. Anzi, i Paesi dell’Est Europa uscivano dal comunismo, erano poveri, avevano bisogno della mammella dell’Europa per modernizzare le loro economie.

Ora la situazione è molto cambiata. Paesi come la Polonia e l’Ungheria hanno ricevuto molto da Bruxelles, ma sono disposti a restituire ben poco. Meno che mai sono pronti ad aiutare l’Italia sui migranti. Orban, il leader ungherese, ha eretto un muro a protezione del confine con la Serbia, proprio per sbarrare la via ai profughi.

La cosa paradossale è che l’Italia avrebbe tutto l’interesse a trattare con Paesi disposti ad accogliere una quota di migranti. Inoltre i Paesi di Visegrad sono i più ostili a concedere flessibilità sui conti pubblici. Insomma, non sono così amici dell’Italia come il vicepremier Matteo Salvini vorrebbe.

La realtà è che nell’interesse dell’Italia, Paese fondatore, c’è semmai il rilancio della costruzione europea. Proprio quello che Orban e quelli come lui non vogliono. Il disegno di Salvini è un asse popolare-populista che governi l’Europa al posto di quello popolare-socialista, che bene o male ha governato la Commissione e l’Europarlamento finora. Orban sarebbe la figura-chiave del nuovo assetto sovranista, come esponente della destra del Ppe, il partito popolare europeo. Ma i tratti illiberali del suo governo, come di quello polacco, non lasciano presagire nulla di buono per gli europei che ancora credono nella libertà di stampa, nella democrazia rappresentativa, nei valori di umanità e di tolleranza attorno ai quali l’Unione è stata costruita.