Un Casanova torinese

/ 16.04.2018
di Bruno Gambarotta

Nella rubrica «In fin della fiera» del 19 febbraio, raccontavo che fra le tante incarnazioni letterarie e teatrali della figura di don Giovanni, mancava quella torinese. Per completare il quadro ne avevo scovato uno e l’avevo intervistato. Un cortese lettore, nato e vissuto a Torino fino all’età di trent’anni e che chiede di restare anonimo mi invia il suo «diario di un seduttore», con il catalogo delle conquiste giovanili, dal ’49 al ’56, dai 17 ai 23 anni di età. È la lieve e sorridente cronaca di una marcia di avvicinamento che si conclude con l’incontro con la donna della vita che sposerà. In quegli anni il luogo propizio per conoscere una ragazza era la sala da ballo. Il nostro apprendista inizia di lì: ballerino alle prime armi e poco ciarliero «potevo solo chiedere di ballare a quelle più scarse, quelle che facevano sedia». Inizia il ballo scusandosi della sua imperizia e poi parla del più e del meno: «Avrei dovuto essere prodigo di complimenti ma come avrei potuto dirle che fra le cento ragazze in sala lei era la più bella quando anche lei si rendeva conto di non esserlo?».

Qui affiora il rigore dei torinesi di un tempo, in quello che Piero Gobetti definiva lo spirito protestante della città: «Per il mio carattere sono sempre stato contrario a fingere o a raccontare bugie». Se durante la serata l’orchestra annunciava che il prossimo gruppo di balli sarebbe stato dama a scegliere (toccava alle ragazze prendere l’iniziativa e scegliere il cavaliere) «nessuna veniva a invitarmi». Margherita è la prima ragazza che accetta la corte del nostro amico: «era alta, imponente, ma di bello aveva ben poco». Passeggiando in un parco incrociano un fotografo ambulante: «Ci siamo fatti riprendere abbracciati davanti al monumento ai caduti e guardando il risultato mi resi conto che come compagna avrei dovuto aspirare a qualcosa di meglio». È il turno di Fanny che lavorando al Calzificio Torinese faceva i turni, una settimana sì e l’altra no usciva alle 22. Per ritornare a casa con i mezzi pubblici impiegava un’ora. Il nostro amico l’accompagnava in motocicletta e poiché i genitori l’aspettavano solo per le 23, si ritagliavano quasi un’ora per scambiarsi delle affettuosità. Aveva la moto ma non il telefono perciò andava ad aspettarla al buio. «È capitato che un paio di volte eravamo in due ad aspettarla, c’era concorrenza e bisognava darsi da fare per avere l’esclusiva», ma non era il caso di essere gelosi, «ci si accontentava di ciò che si riusciva ad ottenere». Il nostro don Giovanni entra a far parte di un gruppo di amici che organizzano festicciole nelle case: «c’erano ragazze belle e meno belle ed io mi trovai sempre appiccicata una Margherita che del fiore aveva solo il nome». Quando tocca a lui offrire la casa per ospitare la festa, si procura «un abbondante vassoio di pasticcini e tre bottiglie di aranciata» e chiede ai genitori non solo di andare a letto alle 8 e 30 (con le galline!) ma «di non far caso se ci sentivano parlare, cantare, ridere, evitando di intervenire e assicurandoli che non avremmo fatto nulla di inconveniente».

Le ragazze avevano l’obbligo di rientrare a casa entro la mezzanotte, faceva eccezione il veglione di Capodanno, con l’aggravante di portare anche la mamma della ragazza. Lui non solo accetta la regola ma dimostra anche di avere uno spirito caritatevole: «Due o tre volte ho danzato anche con la madre per farle sgranchire un poco le gambe». Come alternativa al ballo c’era il cinema: «Ci sistemavamo nelle ultime file e malgrado i braccioli che di dividevano riuscivamo a stare abbracciati ed a baciarci, trascurando un po’ la visione del film. Ma solo un po’, dal momento che abbiamo pagato il biglietto d’ingresso sarebbe uno spreco ignorare del tutto il film». Con il tempo il nostro don Giovanni acquista sicurezza, l’avvenenza delle sue conquiste aumenta di livello fino ad arrivare a Cristina, bellissima commessa in un grande magazzino. La relazione fila a meraviglia ma un tarlo lo convince a interrompere la relazione: «Come avrei potuto nel corso degli anni difendermi dagli ammiratori che lei avrebbe avuto? Sarebbe stata capace di resistere alle loro lusinghe?».

Per un torinese somma virtù è la prudenza. In vacanza a Finale Ligure, scopre che la stessa pensione ospita quattro ragazze di Bergamo e ne convince una a stare in sua compagnia per i quattro giorni che mancano al rientro «pur sapendo che finita la vacanza sarebbe finito tutto», come se muoversi fra Bergamo e Torino fosse un’impresa troppo onerosa, che non ne valesse la pena. La giovane bergamasca però ha lasciato un segno: «non ricordo il suo nome ma il suo aspetto è impresso nella mia memoria, saprei riconoscerla ancora oggi, sempre che in questi sessantacinque anni non sia cambiata». (Complimenti al chirurgo plastico). Lui è giovane ma già pieno di torinese saggezza: «Se l’occasionale ragazza non era particolarmente avvenente si poteva sempre considerare che baciandola si chiudono gli occhi e si può immaginare che quella che abbracci sia la donna dei tuoi sogni». Sia per lui che per lei si trattava di un rodaggio in attesa di trovare la persona giusta: «I rapporti che iniziavo erano precari, come adesso il lavoro a tempo determinato, scaduti i due mesi ognuno per la sua strada».