Turiste per... Käse

/ 30.07.2018
di Ovidio Biffi

Verso fine giugno i media ticinesi hanno ripreso dall’agenzia Ats una notizia abbastanza curiosa, senza prestare troppa attenzione alle implicazioni che essa poteva comportare per il nostro cantone. Eppure gli indizi non mancavano: la notizia proveniva da Uri, cantone vicino e amico (anche se ha abolito l’italiano dalle sue scuole, per cui fra trent’anni per parlare con qualcuno di Erstfeld dovremo usare il dialetto cokney dei sobborghi londinesi...), e riguardava traffici attraverso il San Gottardo, quindi quella via delle genti che da millenni unisce siciliani e norvegesi, perciò anche ticinesi e confederati.

Ma quest’ultimo richiamo è ormai relegato al solo mito, visto che nel Terzo millennio i passaggi decisamente sono fuori controllo, come del resto prova la notizia data: le mucche trasportate dalla Svizzera tedesca in Ticino, tra fine maggio e fine giugno, rischiano addirittura di morire se fa troppo caldo. La denuncia è partita da un articolo del «Blick» sulla decisione della polizia urana di vietare l’uso della strada cantonale, quando sulla A2 ci sono lunghe colonne, agli autocarri che trasportano mucche dalle pianure svizzero-tedesche a estivare (significa «passare l’estate») sugli alpeggi ticinesi; in pratica l’accesso alla galleria del Gottardo da Göschenen rimane «tabù», anche per le mucche. Il divieto costringe ora le autorità urane a cercare altri rimedi se vorranno evitare che le prolungate colonne in autostrada si trasformino in «viaggi dell’orrore» per le mucche confederate.

La faccenda, come spesso capita, consente diverse letture.  Una potrebbe riguardare anche il nostro cantone dal momento che la notizia riporta anche i pareri di due ticinesi: un’anziana alpigiana di Fusio preoccupata per le mucche («Non si possono trasportare le vacche da latte per più di 4 ore. Se si ammalano ne soffre il latte e noi non possiamo più lavorare»), mentre un produttore, anch’egli di Fusio e proprietario di un alpeggio con oltre 100 vacche sotto il passo del Naret, ha invece voluto evidenziare il fatto che in Ticino «contiamo da anni sulle vacche della Svizzera tedesca. Senza di loro niente formaggio d’alpe». E qui è chiaro che i due intervistati si sforzano di presentare queste mucche svizzero-tedesche come vere e proprie «turiste per Käse», ma lo fanno accennando altre implicazioni che potrebbero far passare in secondo piano i disagi dei trasporti sotto il sole.

Il «leasing» di mucche confederate sugli alpi ticinesi (e non sono alcune centinaia: si parla di 1500 capi...) sembra una prassi ormai collaudata e v’è da supporre che controlli, siano rispettati. Qualcuno potrebbe a questo punto porsi qualche domanda riguardo qualità e filiera dei prodotti ricavati dal latte di queste «turiste». Buttandola un po’ sul faceto si potrebbe arrivare a pensare che, leggendo in ristoranti e grotti il tradizionale elenco di proposte che riguardano i formaggi d’alpe, serviti con polenta, o con qualche goccia di miele, oppure in ricca composizione sull’asse di legno, qualche turista svizzero-tedesco possa esigere che nel menù venga menzionato che quel formaggio d’alpe proviene da latte di giovenche di Rohrbachgraben o di Niederbipp, un po’ come avviene per il vino d’origine controllata.

Ma, stando a vicenda e dichiarazioni, potrebbero nascere anche ipotesi e illazioni più serie, spingere qualcuno a chiedere se queste «vacanze in Ticino», oltre ad essere pericolose per le soste in colonna delle mucche, siano conformi a tutte le norme sui trasporti di animali. Addirittura qualche zelante funzionario potrebbe sentirsi autorizzato a chiedere lumi o precisazioni in merito a eventuali sussidi che vengono elargiti per le vacanze di queste mucche, per trasporti o foraggiamento di animali da alpeggio, o magari (si sa che le vie dei sussidi sono infinite) collegati con la salvaguardia di alpeggi, pascoli e prati montani. Insomma, una notiziola di poche righe, potrebbe diventare punto di partenza per l’approdo a tanti interrogativi. Una certezza comunque l’ha già recata: finalmente sappiamo perché durante le nostre gite sugli alpi ticinesi spesso le mucche mostrano di non capire quel che diciamo loro in italiano.

Probabilmente sono delle fortunate «turiste per Käse» e conoscono solo il dialetto delle pianure svizzero-tedesche.