Trump rompe l’accordo con l’Iran

/ 14.05.2018
di Paola Peduzzi

L’America è uscita dall’accordo sul nucleare iraniano negoziato nel 2015 con Francia, Regno Unito, Germania, Russia, Cina e Unione europea. Donald Trump aveva già detto più volte che l’accordo – che sospende le sanzioni internazionali alla Repubblica islamica d’Iran in cambio della sospensione del programma atomico da parte degli iraniani – non era favorevole agli interessi americani e soprattutto a quelli di Israele, e che andava rivisto. Dopo anni di negoziati, gli europei non volevano rimettere mani al patto, ma hanno tentato di convincere il presidente americano a restare, e di avviare nuove trattative per un «potenziamento» dello stesso. La charm offensive europea è fallita, Trump, allineato con il governo israeliano di Benjamin Netanyahu, ha detto che l’accordo così com’è è inutile e pericoloso, perché serve soltanto a ritardare, nel migliore dei casi, la costruzione dell’arma atomica da parte dell’Iran. Gli ispettori internazionali non hanno accesso ai siti militari («voi americani vi porterete nella tomba il sogno di avere accesso ai nostri segreti militari», ha detto uno dei consiglieri della Guida Suprema, Ali Khamenei) e Teheran continua i test e lo sviluppo di missili – alcuni dei quali possono trasportare anche testate atomiche.

Quando nel 2015 fu negoziato l’accordo, molti sostennero che era stato concesso troppo credito all’Iran e che le capacità di controllo erano ridotte. Barack Obama, che è stato il regista del negoziato e considera il ritiro di Trump un grave errore, disse allora che c’erano soltanto due alternative: fare l’accordo o fare la guerra. Il deal si limitava così a contenere la minaccia nucleare: no a nuove centrifughe, tetti alle riserve di uranio, processo di arricchimento tenuto nei limiti prefissati. In cambio sono state tolte le sanzioni, cioè per la prima volta da tre decenni l’Iran si è riaffacciato sul mondo. Con che faccia? Quella di chi vuole cogliere l’occasione: il presidente Hassan Rohani, considerato un moderato, ha fatto dell’accordo un’arma per blandire gli iraniani e per tenere sotto controllo i falchi del regime di Teheran, che non tolleravano il dialogo con il Grande Satana americano ma allo stesso tempo sapevano che il sistema era arrivato a un punto di saturazione, e che il rischio implosione era alto.

L’Iran non ha violato l’accordo nucleare: gli ispettori sono entrati undici volte e soltanto in un caso hanno rilevato l’utilizzo di una centrifuga che avrebbe dovuto essere smantellata. Una volta fatto notare, la centrifuga è stata dismessa. Tecnicamente è stata l’America a violare il deal, uscendone in modo unilaterale, in contrasto con il resto degli alleati. Ma con motivazioni forti: l’intelligence israeliana ha rivelato che l’ambizione nucleare di Teheran non è mai sopita – «Iran lied», l’Iran ha mentito è lo slogan del governo israeliano – e l’impossibilità di controllare i siti militari fa temere che sia lì la sede delle eventuali violazioni. Al di là del nucleare, sono le altre promesse implicite a essere state violate: i test missilistici e soprattutto il riscatto del popolo iraniano. Il mercato iraniano si è aperto al mondo, soprattutto nel business del gas e del petrolio in cui l’Iran ha un peso enorme, e inizialmente la crescita del Paese è stata sostenuta: 12, 5 per cento. A oggi le previsioni del Fondo monetario sono del 4 per cento per il 2018, la metà di quanto ha previsto Rohani nel suo piano a cinque anni dopo l’accordo. I proventi da petrolio che ci sono stati, e tanti, sono finiti a finanziare la guerra di espansione in Medio Oriente, in particolare in quel conflitto drena-risorse che è la Siria. In questo modo anche la speranza insita nel dialogo con Teheran – un nuovo interlocutore per risolvere le crisi, non per accelerarle – è sfumata: era in realtà una speranza azzardata, l’Iran ha smesso di arricchire uranio ma non di sponsorizzare gruppi e regimi alleati, e non c’è mai stato il sentore – nonostante le tante dichiarazioni europee – di un eventuale approccio in questo senso.

Ora l’Iran vuole verificare con gli altri firmatari se resistono certe «garanzie» e andare avanti con l’accordo. Donald Trump invece ha reintrodotto tutte le sanzioni che esistevano prima dell’accordo, e in questo modo condiziona anche il business degli altri firmatari. Nell’Amministrazione molti sono convinti che il regime arriverà presto al punto di rottura: è troppo esposto in Siria, la valuta è crollata, gli scioperi non si fermano. Gli idealisti del regime change dicono che questo è il momento buono, di prepararsi, ma intanto chiedono coerenza a Trump: ora che hai rotto con l’Iran, non ritirare le truppe dalla Siria.