È passato Donald Trump in Europa e ci si guarda ancora intorno per vedere che cosa è rimasto in piedi. Il presidente americano parla, smentisce, riparla: è difficile stargli dietro, il racconto di questa stagione geopolitica procede per scossoni, contraddizioni, grandissimi malumori. Però i pezzetti disseminati da questo Pollicino irruente alla fine riconducono a un punto fermo: l’America di oggi punta a destabilizzare l’Europa. Trump ha definito gli alleati europei dei «nemici», ha accusato direttamente la Germania, che dell’Unione europea è regina, di vivere e prosperare con immense ipocrisie nei confronti della Russia – il tic antitedesco in Europa funziona molto bene, e il presidente americano lo sa bene – e si è saputo anche che, durante l’incontro a Washington a fine aprile, Trump aveva cercato di convincere il presidente francese Emmanuel Macron a lasciare l’Europa, da soli è tutto più semplice.
Se si guarda l’esito del vertice della Nato, che era il motivo per cui il presidente è arrivato a Bruxelles, non si rileva tanta inimicizia, anzi: i paesi membri dell’Alleanza hanno scritto un comunicato congiunto molto duro nei confronti della Russia, minaccia comune. Nel comunicato non c’è nemmeno la questione economica: si chiede, come accade ormai dall’inizio degli anni Duemila, che tutti i paesi membri facciano la loro parte destinando il 2 per cento del proprio pil alla difesa entro il 2024. La Nato non sta venendo giù, come è parso prima dell’incontro, spesso durante, perché la questione militare interessa a Trump fintanto che è legata a quella commerciale: quando l’Amministrazione americana ha fatto sapere che la percentuale da destinare alla difesa dovrebbe essere al 4 per cento, e anzi, questo è quel che da oggi pretende Washington – anche se il documento non lo prevede – ha parlato del denominatore di questa operazione: crescete così tanto, voi potenze europee (la Germania in particolare), eppure pensate che sia sempre l’America a dover fare da scudo a qualsiasi problema, che sia militare e che sia commerciale.
Il problema per Trump è tutto qui: l’Europa, come il Canada, approfitta della generosità americana, e non dà nulla in cambio, soprattutto in termini di scambi. Le trade wars, che sono guerre complicate dall’esito incerto, sono le uniche cause per cui Trump è disposto un po’ a tutto. La tappa londinese in questo senso è stata emblematica.
Il presidente americano ha rilasciato un’intervista durissima al «Sun», il tabloid più letto del Regno Unito, in cui diceva: ho detto alla premier, Theresa May, che avrebbe dovuto gestire la Brexit in un altro modo, lei ha fatto di testa sua, e ora la volontà popolare rischia di non essere più rappresentata (ha anche strizzato l’occhio all’amico Boris Johnson, affronto massimo per la May). Poi Trump si è rimangiato tutto, in conferenza stampa con la May si è scusato, ha detto di essere stato malinterpretato, ma ha aggiunto: «Qualsiasi Brexit a noi va bene, basta che restino gli scambi commerciali».
La proposta del governo May è per i falchi delle guerre commerciali un grave ostacolo: se si replicano le stesse regole esistenti oggi tra Regno Unito e mercato unico europeo – questa è in sintesi l’area di libero scambio che Londra vorrebbe instaurare con il continente – vuol dire che anche i dazi saranno inflitti al Regno, come già accade ora. Washington vuole Londra libera dai legami europei per poter creare un accordo bilaterale vantaggioso per entrambi: se Londra resta impigliata nei regolamenti europei, il piano potrebbe non realizzarsi più. Quindi Trump è per la Brexit più hard possibile ed è arrivato a dire alla May – come lei ha confessato quando ormai il presidente era ripartito – di «denunciare» l’Unione europea, in modo da sminuire le pretese di Bruxelles.
Il commercio è per Trump determinante. Poi c’è il lato più ideologico, questo sì di un sovranismo purissimo, in stile Steve Bannon, l’ex guru della Casa Bianca che sta federando i movimenti nazionalisti in Ue: è la retorica sull’immigrazione. Nonostante il tema sia delicato in America per via delle separazioni dei minori dai genitori al confine con il Messico, Trump ha più volte detto agli europei, durante il viaggio, di «stare attenti», perché la più grande sfida è l’immigrazione e bene fanno i paesi che chiudono porti e frontiere: chi accoglie ha dato il via a una trasformazione culturale dell’Europa che cambierà per sempre il continente. La chiusura delle frontiere, come si sa, è una condanna per il progetto europeo: è per questo che sta tanto a cuore al Trump antieuropeo.