Tra provvedere e prevenire

/ 06.05.2019
di Ovidio Biffi

Al telefono si sta parlando dell’intenzione del Consiglio federale di escludere il caffè dalla lista delle scorte alimentari obbligatorie. Faccio notare come il maggior risalto alla notizia sia giunto da un giornale online italiano e subito l’amico di Cham ne approfitta per una delle sue sulfuree perle: «Comprensibile. Per gli amici della vicina Repubblica le scorte sono solo quelle dei politici e dei personaggi scomodi. Naturale che si meraviglino che da noi ci siano scorte per degli alimenti, a maggior ragione trattandosi di scorte per il caffè...». Facezie a parte, l’uso del termine «scorta» sia per l’approvvigionamento economico, sia per il gruppo che cura l’incolumità di una persona, non è casuale: in filigrana c’è il concetto del «Prevedere per provvedere e prevenire». L’antico proverbio potrebbe benissimo sostituire lo slogan «Scorte d’emergenza – per ogni evenienza» che troneggia nelle pubblicazioni dell’Ufficio federale per l’approvvigionamento economico (UFAE) del Dipartimento federale dell’economia, la piattaforma che, in collaborazione con l’economia privata, si impegna per evitare che la popolazione incontri difficoltà negli approvvigionamenti di alimentari, energia, medicina e beni.

Certo, a suggerire scorte di previdenza oggi non sono più i conflitti o le crisi di lunga durata, come durante la Guerra fredda, quando anche lo slogan rivolto ai cittadini era più esplicito («Scorte d’emergenza – Saggia previdenza»). Il contesto è mutato radicalmente. Sussiste però la consapevolezza che emergenze nuove, riconducibili più a disastri naturali o a pandemie piuttosto che a minacce riguardanti la sicurezza, possano bloccare in poche ore i nostri approvvigionamenti dall’estero come pure la disponibilità di beni di prima necessità. Inimmaginabili, ad esempio, le conseguenze di un sempre meno utopico «blackout» energetico che arrivi a disturbare o a compromettere quanto oggi dipende dall’elettricità, quindi a colpire sia l’economia (sicurezza, servizi informatici, logistica, import-export ecc.) che la popolazione (alimenti, refrigerazione o riscaldamento, distribuzione, comunicazione ecc.).

Lo stralcio del caffè dalle scorte obbligatorie non dovrebbe causare problemi alla popolazione, tanto che ci si chiede come mai siano stati esclusi il tè o la cioccolata... Come riferiva «la Regione», commentando la notizia dell’avvio della procedura di consultazione, sono diversi i fattori a sostegno di questa decisione: alimento praticamente privo di calorie, il caffè non può essere considerato un bene con valore nutrizionale ai fini della sicurezza alimentare. Oltretutto il rischio di problemi riguardanti l’approvvigionamento è minimo, dato che i raccolti avvengono in continenti diversi e sull’arco di tutto l’anno. Probabilmente anche i mutamenti intervenuti nella conservazione e nella commercializzazione (capsule) di questo prodotto, hanno favorito la richiesta dello stralcio. Saranno comunque le Camere, già nell’autunno prossimo, a decidere se la Confederazione potrà escludere il caffè dalle scorte obbligatorie a partire dal 2022.

Anche se tutte le informazioni sulla costituzione di scorte obbligatorie possono facilmente essere reperite sul web, e più precisamente consultando l’ultimo rapporto sull’approvvigionamento economico sul sito (www.bwl.admin.ch) del citato Dipartimento federale dell’economia, la proposta del Consiglio federale offre lo spunto per un rapido sorvolo su un impegno previdenziale tipicamente svizzero. Il dato più sorprendente? Sicuramente quello dei costi di questo complesso e delicato impegno politico gestito da Confederazione e partner economici: sull’arco degli ultimi vent’anni le spese sono diminuite di due terzi! Si è passati dai 307 milioni di franchi del 1995 ai 108 del 2014, costi che per abitante sono scesi da 43 a 13 franchi.

Non potendo entrare nei dettagli vale la pena indicare almeno i quantitativi dei prodotti che sottostanno ai vari obblighi e ordinamenti e dire che «in dispensa» ci sono 69’000 tonnellate di zucchero (fabbisogno per 3 mesi sia per consumi privati sia per usi industriali); 32’750 t. di oli e grassi commestibili (4 mesi); 14’000 t. di riso (4 mesi); 195’000 t. di grano tenero e duro per consumo da tavola (4 mesi) e 140’000 t. di grano tenero per uso da tavola e anche animale (3-4 mesi); 130’000 t. di cereali da foraggio e 52’000 t. di mangimi per animali. La lista comprende anche 17’000 t. di azoto per concimazione, 916 t. di ingredienti per lievito e si accenna che in futuro potrebbero essere proposte scorte di sementi, prodotti fito-sanitari e latte artificiale. Nel settore energetico (le cifre non dicono molto, essendo espresse in metri cubi) oltre alle barre di uranio necessarie per le centrali nucleari, sono contemplate riserve di benzina, diesel, cherosene, gas e oli da riscaldamento per almeno 4 mesi e mezzo. Stessa durata viene osservata anche per le scorte del comparto agenti terapeutici, dove figurano medicinali e utensili per garantire un normale esercizio di ospedali e cliniche (dall’insulina al Tamiflu, dalle mascherine di protezione e ai guanti da visita dei medici). Un ultimo dato: il valore complessivo delle scorte si aggira attorno ai 3 miliardi di franchi.