Tra mercato e Stato

/ 08.01.2018
di Angelo Rossi

Per il Natale del 2017 il «Corriere del Ticino» ha pensato di sostituire la bottiglia di vino che era solito regalare, agli accoliti degni di attenzioni speciali, con un opuscolo sui problemi economici del momento scritto a due mani da due suoi collaboratori: Tito Tettamanti, commentatore a tutto campo, e Alfonso Tuor, giornalista che invece concentra i suoi contributi sui fatti economici. Al di là dei temi scelti per intitolare i quattro capitoli della loro pubblicazione, quello che i due autori si propongono di discutere nelle lettere, senza francobollo, che formano il testo della stessa, è la salute del nostro mondo. Come va il mondo della fine del 2017? Male, anzi malissimo, secondo Tuor. Non molto bene, secondo Tettamanti. All’insegna del detto «good news are no news» la diagnosi dei due commentatori del quotidiano luganese è quindi abbastanza simile.

Il mondo va male per Tuor perché esiste, a livello internazionale, una combutta di governi e grossi gruppi economici che curano solo i loro interessi al di sopra di quelli che potrebbero essere gli interessi delle popolazioni delle circa duecento nazioni di cui esso è fatto. Il mondo non va bene per Tettamanti perché lo Stato, governi e burocrazie, sono oramai strapotenti e, con divieti, regolamenti, limitazioni e una tassazione dei risultati dell’attività economica che paralizza l’iniziativa privata, impediscono alle forze del mercato di sviluppare i loro effetti taumaturgici. I due autori convengono poi nel diagnosticare che il malessere di cui soffre il nostro mondo sia dovuto, nella fattispecie, alla globalizzazione, una malattia che viene discussa a lungo nel secondo capitolo della loro pubblicazione.

Pur essendo sostanzialmente diverse, le loro analisi della globalizzazione convergono verso un giudizio affine: la globalizzazione è da considerare come un fenomeno negativo perché tende a creare un importante accumulo di potere nelle mani di pochi. Né Tuor, né Tettamanti lo dicono chiaramente nelle lettere che si scambiano, ma dagli argomenti che avanzano per criticare la globalizzazione il lettore intuisce anche che, per loro, esiste una contraddizione di principio tra globalizzazione – intesa qui come la tendenza a liberalizzare a livello internazionale, abolendo le frontiere e imponendo, di fatto, una legislazione e, almeno parzialmente, anche una giurisdizione internazionale che primeggiano su quelle nazionali – e democrazia. Pare anche di capire, ma sono queste deduzioni di chi scrive, che il sistema democratico non può esistere che all’interno dei confini nazionali. A livello di politiche economiche questa opposizione alla globalizzazione porta a preferire, nei rapporti economici internazionali, il protezionismo alla liberalizzazione internazionale dei mercati.

Se la globalizzazione è la causa maggiore del malessere mondiale, il suo effetto più negativo è costituito da quello che i due autori definiscono «l’esplosione delle disuguaglianze», un fenomeno al quale è dedicato il terzo capitolo del loro testo. Tuor sostiene che, nonostante la crescita del Pil, i redditi dei lavoratori non sono cresciuti. Questo significa ovviamente che la crescita incentivata dalla globalizzazione va solamente a favore dei capitalisti. Di conseguenza le differenze di reddito e di ricchezza tra queste due classi sociali sono aumentate. E non parliamo di cosa sia successo alla terza classe che è costituita da tutti coloro che – per età, invalidità o disoccupazione – non sono più inseriti nel processo lavorativo. Tettamanti risponde a queste critiche prendendo il discorso un poco alla larga. Il suo argomento è duplice: dapprima rileva che in una prospettiva secolare non si può negare che vi siano stati importanti miglioramenti nel benessere dei lavoratori. Poi insiste sui doveri e, in prima linea, quello di lavorare. Raccomandazioni valide, certamente: ma per poter lavorare occorrerebbe poter disporre dei posti di lavoro necessari.

L’ultimo capitolo di questa pubblicazione è intitolato «che fare?». Secondo me non dà risposte precise agli interrogativi sollevati nei due capitoli precedenti. Forse perché per esprimere un giudizio sul da farsi occorre pronunciarsi su quale possa essere il ruolo dello Stato nell’economia. È vero che, nel primo capitolo del loro epistolario, gli autori hanno fatto conoscere la loro opinione al proposito. Tettamanti pensa che l’economia di mercato sia il miglior sistema. Tuor reputa che questo tipo di economia ha molte pecche che devono essere corrette da interventi pubblici. La discussione è però finita qui. Apparentemente gli autori non si sono accorti, o non hanno voluto vederlo, che, con tutti i suoi limiti, in questi frangenti, il solo agente che possa intervenire è lo Stato o, a livello internazionale, le associazioni di Stati che si occupano della politica economica.