Cinquant’anni fa, quando ho cominciato ad occuparmi, come ricercatore, del mercato del lavoro, gli imprenditori si preoccupavano per il continuo «turnover» di lavoratori nelle loro aziende e cercavano misure per ritenerli il più a lungo possibile. Per far questo garantivano ai loro lavoratori il tempo pieno, un buon salario e un’occupazione e tempo indeterminato che poteva durare anche l’intera vita lavorativa. Oggi, con il progredire della quota dei lavoratori a tempo parziale nel totale dell’occupazione, la situazione è radicalmente cambiata. Specie nel settore dei servizi, il legame del lavoratore con la sua azienda si è di molto affievolito. Non certo solamente per colpa del lavoratore. In Svizzera il lavoro a tempo parziale ha fatto la sua apparizione negli anni Ottanta dello scorso secolo. Non che prima di questa data non esistesse. Ma la sua portata non era tale da interessare la statistica ufficiale.
Da allora ad oggi la quota dei lavoratori a tempo parziale non ha fatto che crescere, a livello nazionale come nel Cantone. Ha fatto quindi bene l’USTAT a dedicare uno studio a questo fenomeno, che sta trasformando completamente il nostro mercato del lavoro (si veda USTAT, Flessibilità del lavoro, edizione 2017). Si tratta di un quadro statistico in sei schede dedicate ciascuna all’esame di un aspetto particolare della problematica. Un’analisi di molto interesse il cui unico neo è purtroppo quello di essere limitata all’effettivo dei lavoratori residenti, escludendo quindi i frontalieri.
L’anno a cui si riferiscono i dati rilevati è il 2015, un anno in un certo senso atipico per la nostra economia per via della forte rivalutazione del franco. I risultati di quell’anno andranno quindi verificati. Per il 2015 ci dicono che la quota delle persone che lavorava a tempo parziale nel totale dei lavoratori residenti in Ticino era pari al 32%. Quasi tre quarti di questo effettivo di lavoratori era formato da donne. A questo proposito va ricordato che la diffusione del lavoro a tempo parziale venne, almeno all’inizio, salutata con favore proprio perché consentiva la possibilità di conservare un’attività di lavoro alle donne con bambini piccoli. Ma oggi l’occupazione a tempo parziale non sembra più rispondere alle loro esigenze di lavoro. Lo studio dell’USTAT ci rivela infatti che quasi un terzo dei lavoratori a tempo parziale non sono soddisfatti del loro tempo di lavoro e dichiarano di essere pronti a lavorare più a lungo. Il 69% di questo effettivo di lavoratori che considerano il loro tempo di lavoro troppo corto è formato da donne. A questo punto il fenomeno di flessibilizzazione del mercato del lavoro che l’economista, di principio, considera di buon’occhio, si scontra con il fenomeno del precariato, ossia dell’occupazione insufficiente, che, ovviamente, andrebbe eliminato. Bisognerebbe dunque che i posti di lavoro a tempo pieno ricominciassero ad aumentare.
Stando al consigliere di Stato Vitta è quello che sta succedendo in Ticino. In un suo articolo pubblicato di recente dal «Corriere del Ticino», Vitta segnala che nel corso degli ultimi dieci anni i posti di lavoro a tempo pieno sono aumentati del 15,7%. È probabile che questa percentuale si riferisca alla quota dei lavoratori con tempo pieno nell’intera occupazione, frontalieri compresi. L’occupazione complessiva, però, è aumentata, nel corso degli ultimi dieci anni (2005-2015) del 24,7%. Nel corso del periodo osservato, dunque, l’occupazione a tempo parziale, riferita al totale degli occupati, residenti e frontalieri, deve essere cresciuta a un tasso certamente superiore al 24,7% (probabilmente vicini al 50%) e quindi più rapidamente dell’occupazione a tempo pieno. Che a crescere più rapidamente sia attualmente l’effettivo degli occupati a tempo parziale lo dimostra anche il fatto che, stando alla pubblicazione dell’USTAT, tra il 2002 e il 2015, gli occupati residenti in Ticino sono aumentati di 18’000 unità. Di queste, però, ben 16’000 erano lavoratori occupati a tempo parziale. Se la progressione del tempo parziale dovesse continuare, tra una quindicina di anni i posti di lavoro a tempo pieno saranno in minoranza. È probabile allora che per vivere bisognerà lavorare a tempo parziale in più di un’azienda.