Tory contro tory

/ 03.07.2017
di Paola Peduzzi

C’era una volta il cancelliere dello Scacchiere George Osborne, soprannominato «Boy George» spesso con disprezzo, perché era l’incarnazione del ragazzo fortunato, molto bullo e molto ricco, che non aveva dovuto faticare poi così tanto per diventare uno dei politici più importanti del Regno Unito. La sinistra lo detestava per quel suo sorriso sadico e l’approccio thatcheriano da austerità permanente; anche molti conservatori lo amavano poco, era pur sempre un rampollo belloccio che non conosceva il costo di uno scone: il partito con lui e con il suo capo-amico, David Cameron, stava diventando un estraneo per l’elettorato tradizionale. Soprattutto, Theresa May lo detestava: i due non si erano mai trovati, l’attuale premier figlia di un pastore tutto sacrificio e riservatezza non ha mai avuto grande feeling con il cameronismo, per quanto ne sia stata esponente come membro del governo. Si narra che alla convention dei Tory del 2015, quando il partito arrivava da una vittoria a sorpresa delle elezioni e Cameron si sentiva in grado di osare tutto, persino di domare la bestia europea, ci furono scambi non proprio lusinghieri tra Osborne e la May, con risate da spogliatoio dei cameroniani nei confronti di quel ministro dell’Interno così poco posh. È chiaro che, quando le sorti si sono invertite e il sorriso irriverente è sparito dal volto di Osborne, May sia diventata impietosa: vediamo chi ride alla fine, deve aver detto (trumpianamente) la May, cacciando Osborne dal governo senza nemmeno telefonargli, nominando direttamente un sostituto.

Ora che il destino s’è invertito nuovamente – quante sceglie sbagliate commettono questi leader conservatori inglesi – l’ex cancelliere ha uno strumento potentissimo di vendetta: un giornale sotto la propria direzione, da posizionare come più preferisce, l’editore ha dato mandato pieno. L’«Evening Standard» è così diventato una lettura imprescindibile, non soltanto perché Osborne ha naturalmente buonissime fonti quando si tratta di raccontare i dolori dei Tory, ma perché è come un bollettino di una vendetta personale e nazionale assieme, con tanto di immagini photoshoppate in perfetto stile tabloid. Il 9 giugno, all’indomani del voto inglese con cui la May ha perso la maggioranza ai Comuni che aveva ereditato da Cameron, lo «Standard» ha pubblicato quattro edizioni diverse in un pomeriggio, quattro sfumature di una vendetta implacabile. Nella notte elettorale, il ghigno di Osborne di fronte al risultato umiliante della May ha fatto il giro dei social: pare che qualcuno gli abbia suggerito di contenersi, ché tanto giubilo potrebbe alla fine non portare benissimo. Ma il direttore dello «Standard» non riesce a trattenersi, e anzi qualche giorno fa, quando la May ha siglato un accordo con il partito nordirlandese Dup che garantisce la maggioranza ai Comuni (si tratta di un appoggio esterno, non di una coalizione), Osborne è andato in senso inverso persino rispetto al suo ex capo-amico Cameron. La copertina del quotidiano del pomeriggio immortalava la May e la leader del Dup nei panni del Dr Evil dei film Austin Powers, mentre Cameron twittava: l’accordo con i nordirlandesi è una buona cosa, abbiamo bisogno di stabilità e di far lavorare il governo.

Il governo fatica ad andare avanti però: il conto alla rovescia del negoziato con l’Europa è cominciato, e nulla lo può fermare. La May incappa in un ostacolo via l’altro, cerca di essere conciliante e l’Europa risponde a ogni proposta britannica: «non è sufficiente». I sostenitori della versione più dura della Brexit iniziano a chinare la testa: bisogna trovare un’altra strada, ma l’approccio più morbido è pieno di contraddizioni che rischiano di far arrabbiare tutti, falchi e colombe. Così tutti s’azzannano con tutti: litigano i ministri, litigano i parlamentari, litigano i commentatori. L’«Economist» sancisce: c’è soltanto un adulto in questo asilo che è diventato il Partito conservatore: è Philip Hammond, cancelliere dello Scacchiere pragmatico, spesso in rotta con la May ma abbastanza concreto da non farne un dramma, molto stimato nel mondo del business, molto desideroso di non tradire le attese della City sulla Brexit. Hammond è il candidato numero uno per prendere il posto della May, se mai un golpe interno ai Tory dovesse andare a buon fine, e mentre aspetta il suo momento lancia veleno ai suoi rivali, si vendica sì ma in modo ponderato, non come il direttore dello «Standard», ché la fama da adulto serve a Hammond per raggiungere il suo scopo. E poiché in questa storia l’unica che ogni giorno ha una smorfia di dolore diversa è lei, Theresa, basta appena ricordare che Hammond è, per l’appunto, il sostituto di Osborne.