Sto cercando di sfuggire a un assedio che ogni giorno progredisce e aumenta la sua forza. Il nemico a cui cerco di resistere (lo so, mi guadagnerò l’etichetta di paranoico) è la messa al bando del denaro contante. Sono infatti convinto che con il denaro digitale e con manovre globalizzate l’industria finanziaria stia cercando di influenzare la gestione dell’M1, cioè della liquidità primaria, del circolante, del denaro contante. Da noi è la Banca nazionale che la controlla, così come controlla anche la moneta scritturale che però, dal momento che viene creata e gestita dagli istituti finanziari privati con prestiti o altre forme di credito, sfiora vette di pericolosità impossibili da tenere sotto controllo, come da tempo denuncia con scarso successo anche il Fondo monetario internazionale: «Circolano 34mila miliardi di titoli a tasso negativo» si leggeva nel suo Global Financial Stability Report di ottobre. Gli esperti spiegano questa bulimìa come effetto collaterale degli interventi delle Banche centrali per sostenere un’economia globale in rallentamento, spinti fino ai tassi negativi di deposito, varati «per convincere il cavallo a bere e a tornare a correre». La pericolosità non sembra preoccupare governi e autorità monetarie, per nulla allarmati dalla crescita di un fenomeno i cui effetti collaterali potrebbero arrivare a condizionare la loro capacità di gestire e controllare il denaro scritturale. Da profano arrivo a immaginare che l’industria finanziaria stia complottando per arrivare all’abolizione del contante proprio perché incoraggiata da questo atteggiamento inattivo e, soppiantando il denaro con le carte di credito e i pagamenti o prelievi online, avrebbe via libera per servizi che applicano (spesso sui due fronti: sia su chi paga che su chi virtualmente incassa) commissioni, abbonamenti annuali e soprattutto tassi elevati sul credito.
Ho già avuto modo di segnalare di sguincio che, anche da noi, questo andazzo sta comminando gabelle ai cittadini meno abbienti, soprattutto agli anziani, visto che la rinuncia al contante obbliga tutti a disporre di strumenti come smartphone e pc che hanno costi notevoli o rate mensili non indifferenti. (Apro una parentesi per una domanda: esiste una base giuridica «chiara e esplicita» per queste imposizioni contro bollette e contante che ci ritroviamo tra capo e collo senza sapere chi le stabilisce?). L’esempio più recente della pericolosità di questo andamento l’ha offerto il sempre più giulivo governo di coalizione al potere in Italia. Sventolando il mantra della lotta all’evasione fiscale, l’esecutivo Conte 2 ha varato un apposito decreto per garantire alle asfittiche casse statali nuove entrate, realizzate non tanto a spese di evasori ancora da identificare, ma limitando l’uso di denaro contante e comminando multe a chi non usa carte di credito. Scetticismo e faide interne per ora bloccano l’applicazione del decreto. Nel frattempo la volontà politica di combattere evasione e attività in nero (dai proventi della mafia sino ai cibi «streetfood») viene mediatizzata con obbrobriose sceneggiate di populismo giudiziario, giustificate con quel «Chi non ha niente da nascondere, non ha nulla da temere» che anche Hitler usava per legalizzare i controlli di massa.
Che la corsa all’adozione delle carte di credito nasconda altre finalità è dimostrato dal fatto che laddove la fiscalità funziona e l’uso del contante resta predominante – ad esempio in Germania o in Giappone – l’evasione risulta assai minore rispetto ai paesi che invece accettano di limitare l’uso del denaro fisico e non accettano di porre un argine alla guerra ideologica e strumentale al contante. Cresce anche il sospetto che dietro all’alibi della caccia agli evasori i governi, dimenticando cause e colpe delle ultime crisi, stiano in realtà favorendo ancora una volta le istituzioni finanziarie. «Il pianeta bancario è a corto di terre vergini» scriveva oltre dieci anni fa su Repubblica il filosofo Zigmunt Bauman, proprio per dare un senso all’avanzata del denaro di plastica. Ed è assai probabile che gli istituti di credito e gli operatori del settore cerchino di assicurarsi un ruolo primario in una futura «cashless society», ovviamente immaginandola come una sorta di bandita di caccia privata, ora che la manna del «quantitative easing» (QE, cioè l’aumento della moneta in circolazione elargito dalle banche centrali) sta per cessare. Guardando a quanto avviene oggi nelle terre vergini di Bauman, gli esperti ricordano che, mentre il contante garantisce una liquidazione immediata della transazione e anche l’immutabilità della stessa, con le nuove tecnologie di pagamento il denaro non passa di mano in mano, la transazione resta sospesa per dei tempi tecnici (necessari a bonifici, accrediti delle carte di credito, addebiti di commissioni ecc ecc) e questi consentono ad algoritmi e ad altri strumenti sofisticati di utilizzare i dati per finalità diverse o manipolazioni. Dev’essere in quei tempi morti che nasce anche la mia paranoia...