La vittoria di Rutte in Olanda rappresenta la prima sconfitta del populismo dopo l’anno trionfale, il 2016 della Brexit e della storica elezione di Trump. La sconfitta di Marine Le Pen per mano di Macron potrebbe essere la tappa successiva. Se poi la grande coalizione tra la Merkel e l’Spd tenesse in Germania, resterebbe solo Grillo a tenere alta la bandiera populista.
La tenuta liberale in Olanda è motivo di consolazione un po’ per tutti: perché conferma un’antica tradizione del Paese. Nel Rinascimento, gli ebrei e i perseguitati trovavano nei Paesi bassi, nella borghesia mercantile e nella casa degli Oranje un porto sicuro. Chi non poteva stampare i suoi libri o manifestare le sue idee in casa, metteva vela verso Rotterdam o partiva per Amsterdam. Ancora oggi il giorno del re, che da quando è salito al trono Guglielmo cade il 27 aprile, è una straordinaria prova d’integrazione: vecchi e nuovi immigrati, indonesiani e comunitari, i discendenti dell’antico impero coloniale e gli espulsi dalla crisi del Sud Europa si mescolano uniformati dalla maglietta arancione (quest’anno si annuncia una festa speciale: il sovrano compie cinquant’anni). Amsterdam del resto è con Londra la metropoli più internazionale d’Europa (Parigi è una città francese e maghrebina con forti comunità da altre parti del mondo più o meno integrate, Madrid è soprattutto una capitale spagnola e latinoamericana).
Eppure l’Olanda è stata anche il primo Paese europeo a conoscere l’intolleranza. A vivere le tragedie e i pericoli che il mondo globale porta con sé, accanto alle opportunità. Il 2 novembre 2004, alle 8 del mattino, Theo Van Gogh – nome caro a chiunque ami le arti e la libertà: discendente del fratello del pittore e di un altro Theo Van Gogh caduto nella Resistenza al nazismo –, il regista autore di Sottomissione, un film critico verso l’Islam, veniva assassinato con otto colpi di pistola da un estremista dalla doppia cittadinanza, marocchina e olandese, che gli ha poi tagliato la gola. Le sue ultime parole furono: «Ma non ne possiamo parlare?».
Theo Van Gogh era amico di Pim Fortuyn, il fondatore del partito che i media per comodità definiscono di estrema destra. Ma Fortuyn non era un parruccone reazionario. Era un gay dichiarato, oltre che un dandy celebre per la sua eccentricità. Era molto duro verso l’immigrazione islamica perché, diceva, «non sopporto essere considerato come un cane rognoso». Il 6 maggio 2002 venne assassinato da un estremista (non islamico ma «verde»), nove giorni prima delle elezioni. Si fece seppellire con il papillon, con un funerale cattolico, in una Rotterdam annichilita dal dolore e dalla paura. Il Feyenoord vinse la Coppa Uefa e la dedicò alla sua memoria, il suo partito prese un milione e 600 mila voti e 26 deputati (su 150). Pim Fortuyn è sepolto in un Paese che amava: l’Italia, a Provesano, in Friuli, dove aveva casa. Sulla sua tomba è scritto: «Loquendi libertatem custodiamus», difendiamo la libertà di parola.
Questo forse aiuta a capire l’ascesa del populista Geert Wilders, che non ha vinto ma è comunque cresciuto. Le sue idee sono discutibili. I suoi tweet spesso odiosi. La sua proposta di mettere al bando il Corano e chiudere le moschee contraddice l’essenza dell’anima olandese. Gli altri partiti sono divisi su tutto, tranne che su un punto: mai un’alleanza con lui. Tuttavia sarebbe sbagliato sottovalutare il peso della destra antieuropea e antislamica appunto nel Paese più tollerante d’Europa. Non lo si capirebbe se non si considerasse che nel suo successo, accanto alla componente xenofoba, c’è anche un aspetto identitario che, essendo in Olanda, assume pure un carattere libertario: il diritto degli omosessuali di vivere la loro vita alla luce del sole; il diritto delle donne sole di uscire con chi vogliono e vestite come vogliono.
L’Europa sbaglierebbe a fare finta di nulla, a rallegrarsi per lo scampato pericolo. Anzi, deve tenere gli occhi aperti e la mente sgombra dai pregiudizi ideologici, aperta alla libera discussione delle idee; anche a quelle che non ci piacciono. Solo così riuscirà a riassorbire l’ondata populista. Che potrebbe vincere proprio nel Paese che più ha sofferto la crisi economica, l’Italia. «Usciremo dalla crisi prima e meglio degli altri» era il mantra del governo Berlusconi. Sta accadendo il contrario: l’Italia uscirà dalla crisi dopo e peggio degli altri. E Grillo è pronto ad approfittarne. Il populismo antieuropeo non è ancora sconfitto.