Il 2018 si sta avvicinando alla fine. È arrivato il tempo dei bilanci. Per l’economia svizzera possiamo fare un bilancio in chiaro-scuro. Vi sono aspetti sicuramente positivi e, purtroppo anche, aspetti negativi. Per quel che riguarda le grandezze congiunturali gli aspetti positivi sono dati da un tasso di crescita che, nonostante il cedimento in atto, dovrebbe rivelarsi largamente superiore a quello del 2017 e inserirsi tra i buoni risultati realizzati dalle economie europee. Sempre per quel che riguarda gli aspetti positivi possiamo citare il tasso di disoccupazione, inferiore al 3% e il tasso di inflazione, che pur superando quest’anno la soglia dell’1% continua a mantenersi a livelli molto bassi. Tra gli aggregati della domanda globale troviamo alti e bassi. Si sono sviluppate bene le esportazioni, mentre consumi privati, consumi pubblici e investimenti realizzeranno un tasso di aumento inferiore a quello dello scorso anno.
In generale si può affermare che la crescita del 2018 è stata caratterizzata da un rafforzamento del contributo delle esportazioni e da un indebolimento del contributo degli aggregati interni della domanda. L’occupazione è cresciuta ancora, rispetto al 2017, ma con un tasso di variazione inferiore. Hanno cominciato a frenare anche i rami di produzione. Se guardiamo al modo con il quale sono evoluti nel 2018 constatiamo, quasi dappertutto, un diminuzione del tasso di crescita del valore aggiunto, rispetto al 2017. Che preoccupano sono in particolare l’edilizia, il commercio e la finanza. Per l’edilizia sembra sia arrivato il giorno del giudizio. Favorita dall’aumento sostenuto della popolazione, fino al 2014, e dai tassi ipotecari molto bassi, l’attività edile ha segnato dappertutto aumenti record, durante i primi anni della presente decade. Dal 2015, però, la crescita demografica si è arrestata e, salvo qualche eccezione, praticamente tutte le zone urbane del paese denunciano attualmente eccedenze di case e appartamenti vuoti. Anche sul mercato degli uffici vi sono eccedenze di offerta importanti, soprattutto nella periferia degli agglomerati metropolitani. Per ora i prezzi tengono, ma è indubbio che la presenza di queste eccedenze costituisce un freno per nuovi investimenti. Di qui i magri risultati di quest’anno per l’edilizia. Il commercio soffre, ancora e sempre per gli effetti del rincaro del franco. È migliorata la situazione nel commercio al dettaglio, ma è peggiorata nel commercio all’ingrosso. Anche il settore finanziario non ha ancora superato lo choc della rivalutazione del franco. Il settore soffre anche per l’imposizione degli interessi negativi da parte della Banca Nazionale. Questa misura che, l’anno scorso, aveva favorito la crescita della spesa pubblica, quest’anno, per fortuna, non ha avuto il medesimo impatto. Anche il consumo dello Stato, quindi, è evoluto quest’anno a tassi modesti.
Ovviamente sulla congiuntura del 2018 hanno pesato le incertezze che frenano attualmente l’evoluzione dell’economia mondiale, in particolare le tendenze protezionistiche che si stanno manifestando negli Stati Uniti e in Cina. A frenare l’evoluzione congiunturale è venuta anche la politica monetaria della BNS e, in particolare, la sua insistenza a voler mantenere tassi di interesse negativi. Conosciamo l’argomentazione dei responsabili della Banca, i quali affermano di non poter rinunciare agli interessi negativi fino a quando la Banca europea non procederà a un rialzo significativo dei suoi tassi di interesse. È tuttavia indubbio che, nel corso degli ultimi mesi, sia cresciuta in Svizzera la pressione sulla BNS perché abbandoni questa politica. Banche e investitori reputano giustamente che con interessi negativi tutto il mercato finanziario risulta destabilizzato. Non è pensabile che un’economia e una Banca nazionale, fossero pure delle dimensioni limitate dell’economia e della Banca nazionale svizzere, possano essere gestite ancora per anni sotto l’egida di tassi di interesse negativi. Anno nuovo, vita nuova! Alla BNS di cambiare la sua politica?