Ricordate il tenore dei commenti all’indomani delle elezioni federali dell’ottobre 2015? Svolta a destra in parlamento! Sembrava di essere alla vigilia di una «restaurazione».
In effetti, liberali radicali e UDC occupano ora 98 dei 200 seggi al Consiglio nazionale, con i due seggi della Lega dei Ticinesi e quello del Mouvement Citoyens Genevois raggiungono una risicata maggioranza. Inoltre, la nuova legislatura ha coinciso con l’elezione di tre nuovi presidenti, del PLR, dell’UDC e del PDC. Petra Gössi, Albert Rösti e Gerhard Pfister avevano l’aria di intendersi bene, fra di loro non c’erano le frizioni che hanno opposto il presidente PDC Darbellay al suo omologo democentrista Toni Brunner (che non gli ha mai perdonato di aver aiutato i socialisti a estromettere dal Consiglio federale il leader dell’UDC Christoph Blocher), ma anche liberali radicali e democentristi su chi sia più «borghese» dell’altro. L’incombente riforma «previdenza 2020», la svolta energetica, i rapporti con l’Unione europea dopo l’accettazione dell’iniziativa contro l’immigrazione di massa, la riforma dell’imposizione fiscale delle aziende, avrebbero portato il marchio della nuova maggioranza borghese al Nazionale, magari allargata ad un Partito democratico cristiano ormai retto da un presidente che proviene dalla sua ala destra? Un anno e mezzo dopo è possibile dare risposte concrete.
E queste sono negative: la riforma dell’imposizione fiscale delle aziende è stata caricata troppo di privilegi e il Popolo l’ha bocciata; la riforma dell’AVS è stata approvata dal parlamento (al Nazionale grazie ai due voti della Lega) nel senso voluto dal Consiglio degli Stati, in cui c’è una maggioranza di centro-sinistra fra PS e PDC, ora ha buone chance di superare la votazione popolare; la riforma energetica è stata approvata come l’ha voluta Doris Leuthard, con il progressivo abbandono del nucleare e il sostegno alle energie rinnovabili, anche su questa voteremo (il 21 maggio); la legge di applicazione dell’iniziativa contro l’immigrazione di massa votata in dicembre dal parlamento non va certo nella direzione anti-europeista voluta dall’UDC. La presunta maggioranza borghese è quindi tale solo sulla carta.
I motivi sono noti da tempo: i diritti popolari (referendum e iniziative), la presenza in parlamento di maggioranze opposte (PLR-UDC al Nazionale, PS-PDC agli Stati) e il tradizionale gioco di «alleanze tematiche» obbligano al compromesso. Non importa quanto polarizzata sia diventata la politica federale, alla fine per ogni legge va trovata una maggioranza in parlamento che possa essere confermata in votazione popolare. E anche oggi, alle Camere, le linee di demarcazione delle alleanze continuano ad essere le stesse: PS-PLR-PDC sull’Europa, PLR-PDC-UDC su temi economici e finanziari, PS-PDC-PLR su temi sociali e di società. Va però aggiunto che in questa legislatura la sinistra ha fin qui saputo ben approfittare delle divisioni fra i tre partiti borghesi.
Eppure, un certo «movimento» nel paese lo si constata. Nei 12 cantoni in cui vi sono state elezioni dopo le federali del 2015, i Verdi hanno guadagnato 14 seggi parlamentari, i socialisti 5, i Verdi liberali 2, il PLR 18, l’UDC ne ha persi 4 (ma soprattutto emerge il tonfo in Romandia), il PDC 22, il BDP 4 e gli Evangelici 2. Il centro si sta indebolendo fortemente, sia quello tradizionale (PDC), sia quello «nuovo» (PBD), la sinistra recupera (soprattutto i Verdi), e il PLR si conferma sull’onda lunga del successo. Per gli equilibri di lungo termine lo svuotamento del centro rappresenta la minaccia maggiore, poiché verrebbe a mancare un collante fra i poli, sempre più distanti.