Svizzera-Ue: momento cruciale

/ 24.06.2019
di Peter Schiesser

Adesso il tempo sta davvero scadendo. Se si intende salvare l’accordo istituzionale con l’Unione europea, concluso in dicembre dal segretario di Stato Roberto Balzaretti, questa settimana deve avvenire una svolta. In caso contrario, dal 30 giugno Bruxelles non riconoscerà più l’equivalenza della Borsa svizzera (impedendo che i titoli svizzeri vengano quotati alle Borse europee). E la svolta può venire solo dal Consiglio federale, cui spetta la leadership nella politica estera. Il problema è che questo Consiglio federale non gode di sufficiente fiducia né a Bruxelles né, sul piano interno, fra i sindacati.

La decisione della Commissione europea di non prolungare una terza volta l’equivalenza della Borsa svizzera trasmette un messaggio chiaro: dopo 10 anni di negoziati, 23 incontri del presidente della Commissione Juncker con 4 presidenti della Confederazione, 32 round negoziali, ribadendo più volte che questo accordo istituzionale non è più negoziabile, a Bruxelles ci si è convinti che il Consiglio federale punta tuttora a guadagnare tempo, che manca una vera volontà di firmare l’accordo. Il presidente della Commissione europea aveva ancora teso la mano a Berna dopo che il Consiglio federale aveva detto di essere sostanzialmente a favore dell’accordo ma che ci sono ancora tre punti da precisare (aiuti dello Stato, libera circolazione dei cittadini Ue, protezione salariale): parliamone, ma decidiamo entro pochi giorni, aveva detto Juncker. E infatti, Balzaretti è tornato a Bruxelles, ma come hanno riferito sia il «Tages Anzeiger» sia la «Neue Zürcher Zeitung» il segretario di Stato non disponeva neppure di un preciso mandato da parte del Consiglio federale e non ha quindi presentato alcun documento – non esattamente il modo migliore per comunicare la volontà di procedere rapidamente.

Il Consiglio federale si sente ovviamente ancora prigioniero della camicia di forza della politica interna. I sindacati di sinistra (e con essi l’anima sindacalista del Partito socialista) insistono a pretendere che la protezione dei salari venga esclusa dall’accordo istituzionale. La loro rigidità è forse solo una tattica negoziale, per ottenere delle concessioni sul piano nazionale. Ma è anche conseguenza del fossato che si è creato l’estate scorsa, quando i due consiglieri federali Schneider-Ammann e Cassis si sono lasciati andare a dichiarazioni pubbliche incaute (evocando la possibilità di modifiche formali alle misure di accompagnamento alla libera circolazione) senza essersi prima consultati con i sindacati. Da quel momento è cominciato uno scontro fra Consiglio federale e sindacati difficile da risolvere, poiché nessuna parte vuole perdere la faccia. L’arrivo in governo di Karin Keller-Sutter ha cambiato gli equilibri interni al collegio, dalle ultime conferenze stampa si capisce che è lei a dare il tono nella politica europea e non più Cassis. Grazie a lei sono nate le proposte di una rendita ponte per i disoccupati sopra i 60 anni, ciò che le ha permesso di riunire al tavolo governativo padronato e sindacati e di rinsaldare l’alleanza europeista. Ma una vera fiducia non c’è ancora; da quanto mi raccontava a Berna Eric Nussbaumer, membro della commissione di politica estera del Nazionale, i sindacati non sanno se possono fidarsi di questo Consiglio federale, tuttora ondivago. Non aiuta certo il fatto, riportato dalla NZZ, che a un recente incontro con i sindacati Cassis abbia prima di tutto rimproverato il presidente di Travail Suisse Adrian Wüthrich di aver attaccato sulla stampa Balzaretti.

Siamo dunque a mezzanotte meno 5. Se il Consiglio federale vuole evitare un conflitto con l’Ue, cui seguirebbero ritorsioni da parte svizzera e via di seguito, se crede nella via bilaterale deve agire subito.