Sri Lanka, nuovo nemico, stesso odio

/ 03.06.2019
di Peter Schiesser

Come va lo Sri Lanka, un mese e mezzo dopo gli attentati di Pasqua? L’attenzione dei media internazionali è catturata da altre attualità, ma i giornali dell’isola e qualche reportage sulla stampa indiana e statunitense presentano un quadro abbastanza nitido. Che M. A. Sumanthiran riassume così (sul NYT del 7 maggio): «Siamo tornati alla normalità: abbiamo un nuovo nemico ma lo stesso odio». Della serie: è stato bello avere dieci anni di relativa libertà e tranquillità, ora si riaprono le vecchie piaghe.

M. A. Sumanthiran è avvocato e membro del parlamento, una figura nota per il suo impegno per i diritti umani, è tamil e di religione cristiana, inviso sia alle Tigri tamil, sia ai fondamentalisti islamici, sia alla famiglia del precedente presidente Rajapaksa, per citare solo i nemici più illustri, e come pochi mette l’accento sul problema di fondo di questa nazione, a maggioranza singalese e buddista: i diritti delle minoranze, etniche o religiose, non vengono rispettati e il governo si impone con la forza. Ma in questo, il governo attuale come tutti i precedenti rispecchia la posizione dominante nella maggioranza: i singalesi si sentono superiori e vogliono mantenere il potere su tutto il paese, a partire dall’uso del singalese come lingua ufficiale. 

Sui giornali si trovano appelli alla comunità islamica srilankese affinché si distanzi dagli estremisti e faccia un esame di coscienza sui motivi che hanno portato alla radicalizzazione di alcuni suoi esponenti, anche di spicco (come i due figli del più ricco commerciante di spezie del paese, fattisi esplodere a Pasqua), d’altro canto restano perlopiù impuniti gli estremisti buddisti colpevoli degli attacchi di questi anni contro moschee, case e negozi appartenenti a musulmani. Non solo: si è venuto a sapere che fra le persone arrestate per aver incitato alle violenze dello scorso 12 maggio contro i musulmani in alcune località nel centro-nord dell’isola c’è anche tale Namal Kumara: braccio destro del presidente Sirisena. Presidente che una decina di giorni fa è andato a visitare in carcere Galagoda Gnanasara Thera, un monaco buddista noto per le sue posizioni razziste e nazionaliste, e lo ha graziato qualche giorno dopo. Questo, mentre i ministri musulmani del governo vengono attaccati di continuo sulla stampa e sospettati di connivenza con gli estremisti.

Anche i tamil devono tuttora dimostrare di distanziarsi dal terrorismo delle Tigri, mentre ogni governo rifiuta categoricamente di permettere delle inchieste serie sugli ultimi mesi di guerra, dieci anni fa, quando il ministro della difesa e fratello dell’allora presidente, Gotabaya Rajapakse, fece bombardare e trucidare decine di migliaia di civili pur di stanare il capo delle Tigri Prabhakaran e terminare la guerra fra singalesi e tamil una volta per tutte. Gotabaya è accusato di crimini contro l’umanità in un tribunale della California, ma si presenterà come candidato alle prossime presidenziali con lo slogan «più controllo, più forze dell’ordine, più sicurezza», rievocando il clima di repressione che avvolse il paese durante il regno dei Rajapaksa. 

Leggendo le storie personali dei nove attentatori suicidi, si capisce che la radicalizzazione è frutto anche di un percepito senso di ingiustizia subita, causata dalla maggioranza singalese (anche se poi, su spinta dell’ISIS, gli obiettivi di Pasqua sono stati chiese cristiane e alberghi di lusso). Il presidente Sirisena dichiara che tutti gli estremisti sono stati arrestati, che il pericolo è passato. Le notizie di nuovi ritrovamenti di armi ed esplosivi e di nuovi arresti lo contraddicono: la rete che collega l’ISIS agli estremisti islamici nello Sri Lanka ma anche nel sud dell’India è più estesa di quanto si potesse supporre.