Sognando Paolo Villaggio

/ 10.07.2017
di Aldo Cazzullo

Il giorno in cui compivo dieci anni, mia nonna mi portò nella cartolibreria di Loano affinché scegliessi un libro. Era Fantozzi, e cambiò il mio modo di scrivere.

«Prenderò l’autobus al volo» annunciava il ragioniere alla moglie. E la signora Pina, preoccupatissima: «Ugo, non l’hai mai fatto, non hai il fisico adatto». E lui, con espressione eroica: «Non l’ho mai fatto, ma l’ho sempre sognato».

È stato un parastatale di Genova, Paolo Villaggio, a inventare l’ultima maschera italiana, raccontarla in libri venduti a milioni di copie, recitarla in tv e al cinema. All’apparenza perdente, in realtà indistruttibile, il ragionier Ugo Fantozzi è il mediocre che di fronte all’ennesimo insulto – «coglionazzo!» – del direttore naturale trova il coraggio di ribellarsi e pure di rapirgli la madre («prendo la vecchia!»), che finiva per innamorarsi di lui: «È il mio uomo, io lo amo!». Oppure costringe il direttore cinefilo a guardare in ginocchio sui ceci Giovannona coscialunga, L’Esorciccio e La polizia s’incazza («al terzo giorno la polizia si incazzò davvero: Fantozzi arrendetevi!». «Mai! Non ci avrete mai! Forse…»).

Con le donne non aveva mai avuto fortuna. «Signorina, posso averla a pranzo da Gigi il troione? Ho prenotato da due mesi…». Ma la signorina Silvani non lo voleva e non lo valeva. «Fantozzi, lei è anche poeta!» lo irrideva prima di sputare nel trucco. Gli preferiva il geometra Calboni, belloccio e volgare («capocordata fu messo imprudentemente Calboni…»). E lui a inventarsi ogni volta una magia: «Sono stato azzurro di sci…». Per poi tornare sconsolato dalla moglie, «chiedendosi come sempre senza risposta cosa mai l’avesse spinto un giorno a sposare quella sorta di curioso animale domestico». «Pina, tu mi ami?». «Io ti stimo moltissimo». Così lui si gettava per la disperazione in camera mentre lei lo avvertiva troppo tardi: «Ugo attento ho già separato i letti…». Ma quando la moglie si innamorò di Cecco, il nipote del fornaio, «un orrendo butterato di ventisei anni dal culo molto basso e dall’alito pestilenziale tipo fogna di Calcutta» (uno strepitoso Diego Abatantuono giovane), Fantozzi trovava l’orgoglio di affrontare il rivale: «Lei insidia la mia famiglia!». «Famiglia? Ma che bella collezione di mostri!».

L’altro mostro era la figlia Mariangela, che amava teneramente pur vedendo in lei la conferma della propria mediocrità. Perché questo va detto: Paolo Villaggio non era buono. Lui stesso si descriveva nella copertina dei suoi libri come «cattivo, invidioso e di animo volgare. Ha le braccia corte con due artigli da topo che usa come mani. Tutto questo gli provoca gravi ansie, che placa mangiando di notte cibo adulterato nudo in piedi di fronte al frigorifero aperto». Più semplicemente, era spietato nel mostrare agli italiani come sono davvero: opportunisti, familisti, conservatori.

In politica Paolo Villaggio, che votava comunista, faceva recitare a Ugo Fantozzi la parte del piccolo borghese reazionario. Memorabile la sua lettera all’Europeo del 1974, dopo la caduta del regime salazarista: «Il Portogallo era l’ultimo paradiso. I contadini legati all’aratro lavoravano ventisei ore al giorno lungo le dolci rive del Tago… Ora solo la Spagna resiste, con il suo magnifico e indomito Caudillo». Anche il ragioniere ebbe la sua fiammata rivoluzionaria, grazie a Folagra, il collega extraparlamentare, culminata con il memorabile incontro con il megadirettore naturale: la poltrona in pelle umana, la serra di piante di ficus, il naif jugoslavo alle pareti, e ovviamente l’acquario dei dipendenti; verrà riassunto come parafulmine, dopo essere stato spugnetta umana per francobolli.

Villaggio nella vita ha fatto molto altro, dai versi geniali del Ritorno di Carlo Martello dalla battaglia di Poitiers per il suo amico Fabrizio De André a filmetti dimenticabili. Con il suo sarcasmo ha allietato la vecchiaia di Gassman, Tognazzi e altri grandi della commedia all’italiana. Ma la sua biografia finisce per confondersi con il suo personaggio, lui sì immortale.

Proprio l’epica della sconfitta aveva reso Fantozzi-Villaggio un vincente. «Ho sempre perso tutto: due guerre mondiali, un impero coloniale, otto, dico otto, campionati di calcio consecutivi, la faccia e la testa per una donna forse mostruosa». La stessa confusione tra la maschera e il suo inventore, come Charlie Chaplin-Charlot, denota quanto fosse profonda la sua intuizione, quanto ci abbia smascherati, denudati, rivelati a noi stessi. E quando dico noi intendo noi esseri umani, di qualsiasi nazionalità. Con Paolo Villaggio se ne va la nostra parte migliore: quella che le cose eroiche non le ha mai fatte, ma le ha sempre sognate. Per questo Villaggio già ci manca.