Siria, un monito per l’avvenire

/ 07.01.2019
di Peter Schiesser

Terminerà infine la guerra in Siria, nel 2019, dopo otto anni di indicibili massacri fra le numerose forze in campo, siriane e straniere, esodi di massa, distruzione? Se pace ci sarà, sarà la pace dei cimiteri. Il paese è a pezzi, servirebbero almeno 200 miliardi di dollari per ricostruire il necessario. E al potere c’è ancora quel Bashar al Assad sulla cui sopravvivenza nessuno avrebbe scommesso, allo scoppio della Primavera araba in quel paese.

Certo, senza l’appoggio dell’Iran e dei suoi alleati libanesi di Hezbollah, sciiti come Assad, come pure della Russia, non ce l’avrebbe mai fatta. Ora, per il resto del tempo in cui rimarrà al potere, dovrà pagare pegno ai due potenti alleati: la Siria resta un campo di battaglia di interessi geopolitici, non otterrà tanto presto una sua autonomia. Tuttavia, l’obiettivo di recuperare il controllo su tutta la Siria, che Assad ha perseguito in questi anni, è quasi raggiunto, solo nel nord-ovest resistono ancora delle forze di opposizione, lo Stato islamico non esiste più (ma molti combattenti sono entrati in clandestinità). E l’annuncio a sorpresa di Donald Trump prima di Natale, di voler ritirare entro un mese i 2000 soldati americani dalla Siria, poi corretto in un ritiro da compiersi in quattro mesi, offre ad Assad un regalo inaspettato: sentendosi abbandonati dagli Stati Uniti, i curdi, preziosi alleati di Washington nella lotta contro lo Stato islamico, si sono già rivolti al presidente siriano affinché li difenda da un probabile attacco dell’esercito turco, che tollera male la presenza di guerriglieri curdi armati legati al PKK ai suoi confini.

Ma il disimpegno americano significa anche lasciare via libera ai russi e agli iraniani nel controllo del paese e nella definizione dei suoi assetti futuri. Trump riconosce in questo modo che la Siria non rientra nella sfera di influenza degli Stati Uniti. In realtà, dovremmo dire che il presidente conferma a suo modo un indirizzo della politica estera americana valido anche in passato: la Siria non è strategicamente importante per Washington, inoltre è da decenni inserita nell’orbita russa. L’incerta politica dell’Amministrazione Obama era frutto dello stesso orientamento, pur con degli accenni umanitari che restano estranei a Trump. E con i curdi della Siria, Washington ha sempre avuto relazioni e interessi diversi rispetto a quelli con i curdi dell’Irak, ai quali fin dalla prima guerra contro Saddam aveva riconosciuto il diritto a una maggiore autonomia rispetto allo Stato centrale a Baghdad. La Turchia resta pur sempre un paese membro della Nato, sebbene ultimamente si mostri alleato riottoso, per cui un sostegno ad una maggiore autonomia per i curdi siriani sarebbe uno schiaffo ad Ankara e un invito ai curdi turchi a perseguire il proprio sogno di uno Stato indipendente (e come, se non con le armi?). Tuttavia, oggi la situazione siriana è più complessa di un tempo: la crescente, forte presenza iraniana in Siria è una spina nel fianco di Israele, poiché ora Teheran dispone di un corridoio diretto che collega Iran Siria Libano fino al confine dello Stato ebraico; inoltre il paese resta popolato di estremisti islamici delle più svariate fazioni e lo Stato centrale non è abbastanza solido per controllarli.

Che dire ancora? Quella in Siria verrà ricordata come una guerra atroce, assurda, in cui hanno vinto il cinismo, la violenza, il disprezzo assoluto dei diritti umani e della vita, da parte di Assad ma anche di tutte le forze in campo. Una guerra in cui hanno vinto dei «cattivi» su altri «cattivi», lasciando perdente la popolazione civile e i valori di giustizia, libertà, umanità. Una delle tante guerre perse dall’umanità: un monito per l’avvenire.