Servizio pubblico: un’idea pragmatica

/ 02.05.2017
di Orazio Martinetti

Circoscrivere oggi il servizio pubblico non è facile. La definizione tradizionale, canonica, si fondava su una dicotomia semplice, basica, immediatamente comprensibile: pubblico/privato, ciò che non era pubblico era privato e viceversa. Oggi assistiamo allo slittamento dei confini anche in questo perimetro, l’antica contrapposizione si è stemperata in una progressiva compenetrazione-commistione tra le sfere, un processo osmotico instabile e fluttuante, senza più fisse barriere o rigide paratie. Molti gli ambiti interessati. Ricordiamone alcuni: acqua, energia, scuola, trasporti, informazione, spazio ricreativo (parchi, giardini), sanità, polizia, pompieri, rifiuti, credito (Banca Stato, Banca nazionale).

Subito si capisce che non tutti gli ambiti hanno la stessa valenza politica, sociale e simbolica. Alcuni settori sono più sollecitati di altri. Storicamente la scuola ha sempre rappresentato un terreno di conflitto tra i due campi, specchio di un più vasto dissidio d’ordine filosofico e religioso, a sua volta generato da opposte concezioni dell’educazione dell’infanzia e in ultima analisi della vita associata (laicità/confessionalismo). Oggi il fronte si è spostato sulla sanità, un settore meno gravato da ipoteche ideologiche ma più allettante da un’ottica economica, visti l’incremento della spesa sanitaria e l’invecchiamento della popolazione. Anche l’informazione (il sistema dei media) è attraversata da linee di faglia poco appariscenti fino a qualche decennio fa. 

Altri ambiti sono meno esposti perché meno interessanti, come la polizia, i pompieri, le guardie carcerarie, la gestione dei rifugiati. 

Nel caso svizzero, l’esperienza vissuta quotidianamente dalla popolazione ha sicuramente disvelato valore e portata del servizio pubblico più delle definizioni astratte. Il caso delle ferrovie si può considerare esemplare.

Nate come imprese private, le cinque principali compagnie ferroviarie furono nazionalizzate a cavallo tra Otto e Novecento dopo un lungo e aspro dibattito politico. Il timore principale era che tale passo potesse aprire al paese un’era di «socialismo di stato», evoluzione che non piaceva nemmeno al partito di maggioranza relativa, il «Freisinn» liberale, fautore del liberismo e della concorrenza. Anche il fatto che da quel momento in poi si dovesse fare i conti non con tanti piccoli sindacati divisi e frammentati, ma con un’organizzazione unica di ferrovieri strutturata sul piano nazionale, dotata di organismi interni e giornali, impensieriva parecchio le classi dirigenti dell’epoca. La votazione del 1898, che appunto stabiliva le tappe del passaggio dal privato al pubblico, fu vinta solo perché anche le cerchie cattolico-conservatrici assicurarono il loro appoggio.

A partire dagli anni 30 del Novecento, il servizio pubblico – dalle ferrovie alla radiofonia – poté beneficiare della costellazione positiva prodotta dalla difesa spirituale per contrastare la minaccia nazifascista; ciclo che proseguì nel dopoguerra, negli anni del grande gelo Est-Ovest, favorendo la nascita del monopolio televisivo.

Oggi il confronto sul trasporto pubblico, e in particolare sulle FFS, si è acquietato. Per due motivi: 1) perché il consenso popolare di cui gode l’impresa rimane elevato, quasi granitico; 2) perché solo la Confederazione può permettersi di riversare ingenti capitali nel miglioramento della rete e nel rinnovo del materiale rotabile. 

In compenso è cresciuta la conflittualità nel mondo dei media, specie nel settore televisivo, il medium più costoso ma anche più influente, oggetto concupito dalle grandi aziende editoriali nazionali ed estere. La partita che in futuro si giocherà intorno al monopolio televisivo sarà decisiva, non soltanto per l’ammontare del canone e la sua di fatto imposizione «erga omnes», ma anche per il destino delle minoranze e per la serietà/fondatezza dell’informazione. 

Quando negli anni 70 nacquero le radio libere molti gioirono. Si parlò di libertarismo, di contro-potere e contro-informazione, dell’avvento della «società della trasparenza» (Gianni Vattimo). Purtroppo questa stagione ebbe vita breve, subito fecero irruzione gli interessi commerciali, affossando gli ideali libertari.

Della rete, di Internet, all’inizio si pensò la stessa cosa: massima apertura, niente controlli, nessuna censura. Purtroppo, anche qui, le cose sono andate diversamente. Anche la rete è controllabile e di fatto controllata, o da grandi aziende come Google, o dal controspionaggio delle maggiori potenze. Ancora una volta, chi controlla l’informazione controlla la politica. Ecco perché intaccare il monopolio della SSR-SRG è diventato un obiettivo strategico da parte di numerosi attori collegati ai grandi gruppi privati.