Per preparare ed eseguire «experimenti magici» bisogna scegliere luoghi «secreti e rimoti, o vero deserti e nascosi», dove non possa arrivare nessuno, e soprattutto nessuna donna. Così la Clavicula Salomonis, testo di magia in una traduzione del XV secolo. Tra Medioevo e Rinascimento il «segreto» diventa termine polivoco ed evocatore di mondi tra loro molto distanti: c’è il segreto del cuore, luogo interiore che raccoglie un’intimità nota solo a se stessi, come nel Secretum di Petrarca, ma anche il luogo dove si strutturano le intenzioni dell’agire, quindi la fonte del peccato o della buona azione. Belle queste divagazioni arcaiche sul segreto. Prima di approfondire, diamo qualche altra notazione, più vicina a noi.
Il Segreto è una soap opera spagnola giunta alla puntata 1429 (al 10 ottobre). Non una telenovela, destinata a finire nel giro di qualche mese o anno, una soap, che potrebbe durare anche quindicimila puntate, come Sentieri della CBS, ossia: se si fosse trattato di un episodio a settimana, la soap avrebbe avuto la durata di 288 anni e mezzo, mentre uno al giorno produce comunque la ragionevole durata di quarantuno anni. El secreto de Puente Viejo è solo all’inizio, ha solo cinque anni. Ma un seguito invidiabile, credo più dalle nostre parti che nella penisola iberica. Che poi, cosa sarà mai questo «secreto»? Ma ce ne sono tantissimi: sconosciute che sono figlie, parenti che sono sconosciuti, cugini che sono fratelli, sorelle che non sono nemmeno cugine. I nomi sono fatti apposta per perdere lo spettatore, Dolores, Pepa, Camila, Carmelo, Eulalia, Severo, Lucas, Pedro. Persi, eh? Come tutti.
Però l’idea del segreto prende, cattura. Lo sappiamo bene, noi. Ci esponiamo sui social, mostriamo immagini intime ai limiti di ogni decenza, e poi preferiamo comprare online, piuttosto che nei negozi. Di nascosto. Non importa che sondaggisti di vaglia paghino profumatamente per avere i nostri dati, siamo un nome per loro. Ma basta, basta imbarazzi davanti alle commesse! E ai commessi. Gentile fascinoso giovinotto, le ribadisco che questo numero di scarpe non mi entra. Mi favorisca il quaranta-e-tot. Signora! S’ignora forse che i piedi sono i miei? Tenga il suo stupore per se stesso, ritiri gli occhi dallo strabuzzo, porti quelle pinne che forse si adeguano alle mie estremità. Che fatica. Non è meglio dissipare il patrimonio familiare di nascosto, non è più rilassante? Sì, voglio tutte e tre quelle paia di pinne, non sia mai che una possa andarmi bene. Perché, nel segreto, nel buio della non coscienza collettiva, l’unico problema è non toccare, né vedere, né, soprattutto, provare quello che compri, quindi, a occhio, devi triplicare gli acquisti, magari magari uno su tre va bene. Ma nessuno saprà. La tua taglia? Ma no, che compri sempre il triplo di quello che, a essere generosi, si potrebbe dire che ti serve. Nascondiamo ciò di cui non è detto che ci vergogniamo, ma pensiamo che altri penserebbero che ci sarebbe da vergognarsi. Una patetica attenzione al pensiero degli altri, una pazzesca assenza di stima per la propria persona. Da qui la fuga dello struzzo, delle canzoncine dei bambini, «io non c’ero non son stato non son mai venuto qui, io a quell’ora faccio sempre la pipì», allo Zecchino d’Oro. E dei grandi, quando a interpretarli c’è un grande Iannacci: «Macchè delitto di gelosia, io ci ho l’alibi a quell’ora sono sempre all’osteria». L’alibi del segreto, la coscienza invalicabile.
Torniamo a settecento anni fa: nella coscienza nemmeno la Chiesa può penetrare, almeno secondo la teoria raccolta dal Decretum Gratiani: la Chiesa non giudica de occultis. Ma ci sono anche altre realtà occulte, i grandi segreti dell’universo, che l’alchimia brama di arrivare a possedere e che Artefio trascrive in un libro intitolato Secretus, mentre, nel Secretum secretorum dello pseudo Aristotele, segreto è il modo di guarire i malati che Dio ha rivelato a santi, eletti e profeti: più una pratica che una teoria, e soprattutto nell’alchimia latina occidentale più un continuo disvelarsi che un nascondimento. Gli arcani della natura possono essere scoperti e trasmessi non solo dagli alchimisti, ma anche dai filosofi e dai medici, spesso riuniti in un’unica figura di sapiente, un iniziato, anche disposto a curare chi ne avesse bisogno. Il segreto abita dunque, oltre che nei libri, nei cuori, come si è detto, nelle confessioni, nelle relazioni interpersonali intime: la stessa urbanizzazione dell’età comunale rende difficile l’intimità necessaria alla confidenza.
Sono quindi le case, meglio ancora le corti, a diventare luoghi di commercio dei segreti. Le osterie, «stessa strada, stessa osteria, stessa donna, una sola, la mia», dice l’Armando. E noi, segretamente, abbiamo omaggiato gli autori di questo capolavoro della Canzone dell’Armando, Dario Fo ed Enzo Jannacci.